“L’Africa in casa”: sulla rivista “Gli Asini” il dossier dedicato alla primavera araba arrivata in Italia

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ROMA – Quasi 5.100 sbarcarono sulle coste di Lampedusa, soltanto tra il 9 e il 13 febbraio 2011: si parlò di “esodo”, a volte di vera e propria “invasione” e si profilarono gli scenari più apocalittici. Poi, nel giro di qualche mese, mentre il loro numero continuava a crescere, rapidamente il silenzio calò: degli immigrati provenienti dalla Libia, dalla Tunisia e dall’Egitto, infiammati dalla “primavera araba”, si parlò ogni giorno un po’ di meno. Eppure, sono circa 20.000, in Italia da quasi due anni e oggi rischiano di essere lasciati “in mezzo a una strada”, con la conclusione di un “goffo e assurdo programma di protezione umanitaria. A rompere il silenzio arriva, in questi giorni, dopo la recente inchieste dell’Espresso, il dossier  che sarà  pubblicato sul numero in uscita della rivista “Gli asini” (n. 11), interamente dedicato all’emergenza Nord Africa. A partire dal suo esordio, con i primi sbarchi di febbraio e fino alla fine del 2011, quando si conteranno circa 65mila stranieri arrivati sulle nostre coste dall’inizio dell’anno: una situazione che, per l’inadeguatezza non solo delle strutture, ma soprattutto della normativa, getta la classe politica nel panico.

Così “inizia il giro di valzer di decreti, ordinanze e interventi eccezionali”, come si legge nell’editoriale della rivista, che produce risultati paradossali, primo fra tutti “disparità  di trattamento tra i ‘tunisini’ arrivati prima del 5 aprile, ai quali verrà  concesso un permesso temporaneo per motivi umanitari e i migranti in arrivo dalla Libia, inseriti a forza nella procedura di richiesta asilo e nel programma di protezione oggi noto appunto come Emergenza Nord Africa”. I primi “hanno attivato risorse e risposte personali, hanno viaggiato, la maggioranza ha lasciato l’Italia, in molti casi si sono ricongiunti ad amici e parenti, in altri hanno scelto il luogo dove sentivano di aver più possibilità  di ricostruirsi una vita”. I secondi invece, sono rimasti ingabbiati in un complesso sistema di accoglienza che impedisce di lavorare per sei mesi, si ritrovano “dopo un anno e mezzo di dipendenza totale dalle strutture che li hanno accolti, privi di capacità  di autorganizzarsi perché ‘educati’ alla dipendenza totale dai servizi”. Alle loro storie dall’incerto finale è dunque dedicato il dossier della rivista, perché, come conclude l’editoriale, “la tappa italiana del viaggio dei profughi scappati dalla Tunisia, dalla Libia e dall’Egitto e l’impalcatura emergenziale di aiuto e controllo che abbiamo costruito intorno a loro rappresenta un illuminante studio di caso attraverso cui giudicare l’ ‘ordinarietà ’ dell’organizzazione, della cultura e degli effetti dei nostri sistemi di assistenza, educazione e cura. E attraverso cui misurare quel che rimane della nostra capacità  di reazione vitale agli eventi, condizione necessaria a qualsiasi eventuale rivolta politica al potere”.

 

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