«La nuova Aia è un bluff»

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TARANTO. Contestata l’Autorizzazione integrata ambientale Tra pochi giorni il parere della procura Sono tornati a manifestare per le strade del quartiere Tamburi sotto lo slogan «Io non delego, io partecipo», gli operai, i cittadini e gli studenti del Comitato Cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto. Alla base della nuova manifestazione, quattro idee di fondo: «salute, perché il diritto alla vita non accetta compromessi; reddito, per garantire un’esistenza dignitosa dopo 50 anni di ricatto e inquinamento; ambiente, per non permettere più che il territorio venga sfruttato e devastato in nome del profitto; occupazione, perché è inaccettabile che in una città  così industrializzata ci sia il 40% di disoccupazione». Fotografia perfetta di ciò che è oggi Taranto. Tanti i giovani nel corteo: chi non è mai andato via, chi è stato costretto ad andarsene ma appena può torna a dare una mano perché culla sempre il sogno di tornare e chi è prossimo a cercare fortuna altrove: che sia nord o estero, poco importa. Perché ovunque non è Sud, non è Taranto: migliaia i giovani andati via negli ultimi 30 anni, segno tangibile del fallimento totale della politica e della classe dirigente locale. La giornata organizzata dal Comitato è poi proseguita nel pomeriggio con iniziative a favore dei più piccoli, un’assemblea popolare e tanta buona musica per provare a svagarsi un po’. Anche perché a Taranto non si parla d’altro che delle prescrizioni del riesame dell’Aia dell’Ilva, rilasciata all’azienda nell’agosto del 2011. Procedimento avviato nel marzo scorso dal ministero dell’Ambiente, che ha subìto un’accelerata dopo l’ordinanza di sequestro preventivo degli impianti dell’area a caldo dello scorso 25 luglio firmata dal Gip Patrizia Todisco, che accusa il siderurgico di disastro ambientale doloso. Del resto, obiettivo principale del ministero e del governo è garantire la continuità  produttiva dello stabilimento, a fronte del divieto di facoltà  d’uso degli impianti ordinato dal Gip e dal tribunale del Riesame. Dopo aver bocciato la richiesta dell’azienda di ottenere una minima capacità  produttiva, la Procura ha infatti intimato di avviare le procedure di spegnimento entro giovedì: l’Ilva ha dichiarato disponibilità  a seguire le direttive dei custodi, lasciando però in attività  l’altoforno 5, cuore produttivo del siderurgico, che i custodi intendono fermare. E l’Aia presentata dal ministro Clini, provvedimento a metà  perché riguarda soltanto la qualità  dell’aria (l’esame su discariche, rifiuti e acque, avrà  un provvedimento successivo) appare più filo aziendale che vicino alle prescrizioni del Gip e dei periti chimici. Singolare, inoltre, che il ministero conceda una nuova autorizzazione all’esercizio, seppur con prescrizioni, ad un’azienda che ha un’intera area e decine di impianti sotto sequestro giudiziario, con i proprietari ai domiciliari. Azienda che se da un lato si dichiara «collaborazionista» con la Procura, dall’altro continua a presentare ricorso contro qualunque provvedimento ad essa notificato. La nuova Aia, inoltre, poggia sulla singolare tesi per cui impianti che inquinano producendo, possano essere risanati restando in funzione: eppure, qualunque mezzo meccanico viene riparato da spento. Non si capisce perché questo non debba avvenire per gli impianti del siderurgico più grande d’Europa. A non convincere, poi, sono le stesse prescrizioni previste dalla commissione ministeriale. Come la « fermata e rifacimento dell’Afo 5 entro il 30 giugno 2014»: per i custodi e la Procura va fermato sin da subito, per l’Ilva nel luglio 2015. « Produzione limitata a 8 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, anziché 15»: l’Ilva non ha mai prodotto tanto: l’anno scorso si è fermata ad 8,5, il record assoluto è 10: dunque, dire che la produzione sia stata dimezzata del 50%, è una colossale bugia. Tra le altre disposizioni, «copertura parco minerali primario entro tre anni con progetto esecutivo da farsi entro tre mesi a partire dal 30 ottobre prossimo e la riduzione della produzione di circa il 30 per cento»: in pratica, un copia ed incolla del piano presentato da Ilva e già  bocciato da custodi, Procura e Gip, che rinvia al 2015 l’eventuale risoluzione dello spargimento di polveri che invadono da decenni quartieri interi della città . Sempre per i parchi, «abbassamento e arretramento dei cumuli di 80 metri dal muro di cinta»: per spostarli come e dove? In più, «copertura dei cumuli di materiali polverosi. Nei giorni più critici, i cosiddetti wind days, bisognerà  ridurre le operazioni del 10%, predisporre una doppia dose di filmatura, la bagnatura doppia delle piste e la riduzione della velocità  dei veicoli del 50%»: ma come avverrà  una riduzione così precisa nei numeri? Unica nota positiva, lo stop «al pet coke tra le materie prime di lavorazione». Difficile pensare che tali interventi serviranno a ridurre l’impatto inquinante e a salvaguardare la salute dei cittadini: nel recente passato, anche con una produzione minore, l’Ilva ha sforato il valore obiettivo annuale del benzo(a)pirene, potente cancerogeno prodotto dalla cokeria Ilva (come appurato da Arpa Puglia nel 2010). Altro snodo fondamentale della vicenda, l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili: ma la perizia dei chimici ha posto come parametro di valutazione di base, le migliori tecnologie in assoluto, previste dall’articolo 8 della normativa sull’Aia (d. lgs. 59/2005). Prima che il decreto sia firmato dal ministro Clini, l’Aia dovrà  superare l’esame della Conferenza dei Servizi del prossimo 18 ottobre. Soltanto dopo, forse, il ministro della Salute Renato Balduzzi, presenterà  i dati sullo studio Sentieri (2003-2008 con eventuale aggiornamento al 2009). Taranto e i suoi morti, dunque, possono ancora attendere.


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