Nel messaggio una «offerta» al Pd: urne a febbraio

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ROMA — Non è stato solo uno sfogo. «Ma quale sfogo», ha detto ieri il centrista Carra a un collega di partito. Carra ne ha viste tante, fin dai tempi della Dc, perché gli potesse sfuggire il senso del messaggio lanciato dal Cavaliere: «Prepariamoci a votare a febbraio». Ecco, il messaggio è stato recepito nel Palazzo, che ha interpretato la mossa di Berlusconi come una chiara offerta al Pd: chiusura anticipata della legislatura, voto a febbraio con il Porcellum e accorpamento delle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia.
Uno scenario drammatico per il Pdl in fase di ricostruzione e non preventivato dalla galassia centrista in via di formazione. Ma che è allettante per Bersani, a cui viene proposto un patto che il segretario democrat non deve nemmeno sottoscrivere, anzi può respingere con toni formalmente sprezzanti e ostili. «Il patto non c’è e non ci sarà », dice infatti il pd Latorre: «Certo, quanto ha detto Berlusconi è un macigno sulla strada della prosecuzione della legislatura». Tutto come da copione. Anche perché, rientrando in scena a affondando il colpo contro il premier, il Cavaliere azzoppato fornisce due assist allo schieramento avverso: sgombra il campo dall’ipotesi del Monti bis dopo il voto, che fino ad oggi era il vero ostacolo per Bersani sulla via di palazzo Chigi, e garantisce al Pd un «nemico» contro cui impostare la campagna elettorale.
Essendo un interesse reciproco, anche Berlusconi ne avrebbe un tornaconto, siccome il mantenimento del Porcellum tornerebbe utile per bipolarizzare il voto e per indirizzarlo: non è stato casuale l’attacco ai partitini e quell’endorsement per le forze maggiori. Di più. L’idea di anticipare le urne sarebbe interesse comune del Cavaliere e di Bersani, perché non darebbe il tempo di organizzarsi a quell’area di centro ancora in fase embrionale e che sta muovendo i primi passi. D’altronde, l’idea di assistere inermi, fino ad aprile, al gioco di chi la mattina fa il ministro tecnico con il sostegno di Pdl e Pd e di pomeriggio va a raccogliere voti per il proprio movimento, non garba nè all’ex premier nè a chi vorrebbe diventarlo. «Fossi Bersani — chiosa Carra — dentro di me ringrazierei Berlusconi».
Maroni lo fa pubblicamente, e il segretario della Lega ha molte ragioni per farlo. Più il Cavaliere prende le distanze da Monti più si riavvicina al Carroccio. E non c’è dubbio che Berlusconi — subìto il rifiuto di Casini — sia tornato a stringere un legame con l’ex alleato. Maroni non ne ha fatto mistero con i dirigenti del suo partito: «A parte il fatto che l’Udc è in caduta libera nei sondaggi, e che il resto di quella compagnia è composto da un’elite senza voti, con chi dovrebbe stare il Pdl? Quelli porterebbero i salotti, noi porteremmo i nostri asset. E se il Pdl non vuol ridursi a partitino del Sud…».
Sarà  stato solo uno sfogo, quello del Cavaliere, e non c’è dubbio che la sua mossa ha il segno della disperazione, ma può ancora produrre effetti sugli assetti politici futuri. E poco importa a Berlusconi se sulla traiettoria di fuoco si ritrova il suo gruppo dirigente, se le primarie (con questo scenario) finirebbero per saltare, se il partito potrebbe spaccarsi con l’ipotesi nemmeno tanto remota di altre liste in campo. L’operazione barricadera è chiara, come il segnale al Pd.
Restano una variabile e un’incognita. La variabile è il passaggio parlamentare per aprire la crisi di governo. Nel Pd ritengono che Berlusconi non la aprirebbe sull’anticorruzione, sarebbe impopolare: è la legge di Stabilità  semmai che ha messo nel mirino, è sull’ennesima stretta fiscale che potrebbe forzare la mano anche per cercare di riconquistare i suoi elettori delusi e che nei sondaggi «per l’85% sono contrari a Monti». Il democratico Latorre avvisa che la legge di Stabilità  va approvata perché è «l’ultimo passaggio su cui l’Italia si gioca la credibilità  internazionale». E proprio su quell’«ultimo passaggio» il Cavaliere potrebbe chiudere la partita, votando il provvedimento «per senso di responsabilità » ma chiedendo in cambio che il governo, un minuto dopo, rassegni il mandato. C’è poi l’incognita: quale sarebbe la reazione del Colle davanti all’ipotesi che si torni a votare con il Porcellum? La preoccupazione corre sul filo del telefono tra Napolitano e Monti.
Francesco Verderami


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