Obama, la delusione in diretta tv Romney fa il moderato e lo mette ko

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DENVER (Colorado). LA CAMPAGNA presidenziale si è riaperta. E a 31 giorni dal voto Barack Obama finisce sotto processo. Il primo duello tv è stato una vittoria di Mitt Romney.
PIà™ sicuro, più aggressivo, lo sfidante repubblicano ha sorpreso il presidente con una “sterzata moderata”, per attirare gli elettori indecisi di centro. Sessanta milioni di americani che hanno seguito il dibattito televisivo hanno scoperto un “nuovo Romney”, per la prima volta credibile come alternativa al presidente in carica. Un chief executive si è mostrato capace di far sognare la rinascita economica.
Raramente il verdetto è stato così unanime dopo un duello presidenziale. Per James Carville, l’ex consigliere che contribuì alla vittoria di Bill Clinton, «sembrava che Obama non volesse esserci». L’influente opinionista di sinistra della blogosfera Andrew Sullivan parla di «una calamità », l’autore di satira politica più popolare tra i giovani, Bill Maher, osserva che «purtroppo Obama ha bisogno del tele-prompter» (il gobbo). Solo ieri il presidente è passato al contrattacco denunciando le promesse demagogiche e le bugie dell’avversario: «Per fare il presidente bisogna dire la verità ». Ma lo ha fatto a un comizio davanti a 600 persone, anzichè la sera prima davanti a 60 milioni. E un sondaggio Reuters/Ispos ha certificato la risalita di Romney, che ora viene visto positivamente dal 51% degli elettori, mentre il presidente è fermo
al 56%.
La serata dentro l’università  di Denver ha messo in evidenza due visioni alternative dell’America, quasi due modelli di civiltà . «Romney — ha detto il presidente — pensa che tagliando le tasse ai ricchi, smantellando le regole, staremo meglio. Io credo nel ruolo degli investimenti pubblici: nella scuola, nelle energie rinnovabili». L’ex governatore del Massachusetts ha contrapposto la filosofia liberista: «Credo nel diritto dell’individuo di realizzare i suoi sogni, senza che sia lo Stato a sostituirsi invadendo le libertà  dei cittadini. In Spagna il 42% del reddito nazionale viene assorbito dallo Stato. Adesso l’America è arrivata allo stesso livello. Io non voglio fare la fine della Spagna». Obama ha ricordato di aver assunto la guida del paese dopo la più grave crisi dagli anni Trenta, e di avere ereditato due guerre: nonostante questo, sotto il suo mandato sono stati creati 5 milioni di posti di lavoro.
Romney lo ha incalzato: «23 milioni di americani sono tuttora senza lavoro, il ceto medio s’impoverisce, è ora di cambiare strada».
Romney ha negato di voler ripetere gli sgravi fiscali “stile Bush” in favore dei più ricchi, ha detto anzi che il suo piano consiste nel «ridurre le deduzioni sui privilegiati per poter abbassare il prelievo sul ceto medio». Ha presentato il suo volto “centrista”, ben diverso dalla linea che aveva adottato per corteggiare la destra estrema e vincere
le primarie del suo partito. Obama si è chiesto quale dei tanti Romney è quello giusto. «I suoi piani sono tanto validi che se li tiene tutti per sé». È stata l’unica, garbata battuta, ma il presidente ha perso l’occasione per mettere nell’angolo il suo avversario, chiedergli dettagli sulle sue proposte. Obama ha rimarcato che «fra le promesse di tagli alle tasse, le drastiche riduzione di spesa con l’eccezione del budget militare, il deficit non può scendere, a meno che
il conto lo paghi di nuovo la classe media». Ma sembrava di ascoltare un professore un po’ pedante, la noiosa voce della ragione. Mentre l’avversario prometteva 12 milioni di posti di lavoro, «perchè so come si fa, sono stato un creatore d’imprese dall’età  di 37 anni».
Il chief executive ha vestito i panni del populista: ha dipinto Obama come amico delle grandi banche «perchè la sua legge di riforma dei mercati rende impossibile il fallimento dei colossi di Wall Street, li aiuta a spese del contribuente e a scapito delle piccole imprese». Un argomento caro al Tea Party che condannò il salvataggio delle banche operato nel 2008 sotto George Bush e portato al termine da Obama. Il presidente si è difeso ricordando che Romney vuole abrogare i controlli sui mercati, tornando alla deregulation che fu all’origine della crisi. Sulla riforma sanitaria Romney ha fatto una piroetta. Lui che ora promette di abrogare l’assistenza
estesa da Obama a tutti i cittadini, varò una riforma simile quando era governatore del Massachusetts. Ma ha rovesciato quel precedente in suo favore: «Io fui capace di raccogliere il consenso di democratici e repubblicani, quell’accordo bipartisan che Obama non è riuscito a costruire a Washington ». Obama lo ha incalzato sulla proposta di trasformare il Medicare (assistenza sanitaria pubblica per gli anziani) in un sistema di voucher alla mercè delle assicurazioni private: un tema che rischia di far perdere consensi a Romney in uno Stato chiave come la Florida.
Il presidente ha concluso sulla “scelta di modello” che gli americani hanno di fronte il 6 novembre: «Io credo in un’America dove il successo vero è quando riusciamo a farcela tutti assieme». Sono mancati gli attacchi personali, e questo è stato un elemento di civiltà  del dibattito. Ma Obama ha seguito fin troppo il galateo “presidenziale”,
fino al punto da guardare raramente l’avversario in faccia. Non ha voluto neppure ricordare la frase infelice che Romney pronunciò sul “47% di americani che si sentono delle vittime, non pagano le tasse, si aspettano l’aiuto dallo Stato». Nessun accenno al fatto che il multimilionario Romney tiene i suoi fondi nel paradiso fiscale delle isole Caymane e paga un’aliquota del 14% inferiore a molti lavoratori dipendenti. Gli attacchi personali, per quanto educati, li ha sferrati Romney: «Presidente, lei ha diritto al suo aereo e alla sua casa, ma non alla sua verità  ». Un’altra volta lo ha accusato di avere erogato 90 miliardi di finanziamenti ai «suoi amici della Green Economy».
Al termine del duello televisivo per 20 lunghi minuti i consiglieri del presidente non si sono visti nella sala stampa qui a Denver, dove spadroneggiavano quelli di Romney. Alla fine il principale consigliere di Obama, David Axelrod, ha ammesso implicitamente il bilancio: «Sono sempre gli sfidanti a vincere il primo duello tv, e Romney è bene allenato». Obama ha un mese, e due altri duelli in tv di cui il prossimo tra 11 giorni, per riprendere l’iniziativa. E fugare quei dubbi che riaffiorano, soprattutto a sinistra, sulla sua personalità  troppo fair-play. Il 16 ottobre il prossimo match sarà  in una università  di New York con molti giovani afroamericani, un pubblico più “caldo”, per una sfida che può rivelarsi decisiva.


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