Primarie, la tregua di Bersani sulle regole
ROMA — Alla fine, Pier Luigi Bersani tira un sospiro di sollievo: «È stato un capolavoro di democrazia. Se facciamo bene le primarie, a noi non ci ammazza più nessuno». L’assemblea del Pd dell’Ergife partorisce un compromesso sulle regole, sotto forma di un documento votato quasi all’unanimità (otto voti contrari). Matteo Renzi, convitato di pietra dell’Ergife, evita polemiche dirette e fa un’apertura di credito al segretario: «Mi fido di Bersani». Apparentemente tutti soddisfatti. Eppure, un minuto dopo il fischio di chiusura, bersaniani, bindiani e renziani si scatenano. L’ermeneutica del documento si fa complicata, le opinioni divergenti se non opposte, l’esegesi più astrusa di un testo cabalistico. Enrico Letta, vicepresidente del Pd, tira le somme: «Ognuno tira la coperta dalla sua parte, è vero. Ma il fatto è che qui non si decideva nulla, si dava solo un quadro di regole. La vera decisione la prenderà il segretario al tavolo con gli alleati». E infatti Bersani — che incassa anche l’endorsement di Carlo De Benedetti — porta a casa un mandato pieno dall’assemblea per dire l’ultima parola, nelle trattative con Nichi Vendola e Riccardo Nencini. Le novità votate sono il doppio turno e un albo pubblico degli elettori. La contesa riguarda l’ampiezza della partecipazione degli elettori. Il segretario vuole regole che evitino brogli e impediscano al centrodestra di inquinare il voto. Lo sfidante vuole eliminare vincoli e restrizioni, per allargare la platea e sperare così di sconfiggere gli apparati. Primo punto del contendere è la necessità di preregistrarsi per votare. Il documento dice che «l’iscrizione all’Albo potrà avvenire dal 21° giorno precedente la data delle primarie fino al giorno del voto». Voto al primo o al secondo turno? I bersaniani, in testa Rosy Bindi, sostengono che si tratta del primo: chi non si è registrato entro quella data non potrebbe più votare. Roberto Reggi, braccio destro di Renzi, la pensa all’opposto: «Non essendo specificato, per noi è ovvio che ci si potrà iscrivere anche subito prima del secondo turno». Enrico Letta, dal palco, è più cauto: «Nessuno metterebbe il filo spinato perché non possa votare chi non si è iscritto prima. Ma sarà il segretario a stabilire le modalità ». Quando e anche dove, visto che uno dei problemi è che se la registrazione dovesse essere fatta in un luogo diverso da quello del voto, la partecipazione risulterebbe ridotta, penalizzando probabilmente Renzi.
Dietro l’ottimismo finale di facciata, cova la cenere dello scontro. Nelle sei ore di dibattito, spuntano cinque emendamenti restrittivi del voto, presentati da pasdaran vicini alla Bindi. Bersani ne chiede e ottiene il ritiro, per placare le ire dei renziani. Gioco delle parti, sospetta qualcuno. Nico Stumpo e la Bindi commentano: «L’emendamento è stato ritirato perché pleonastico: ci si può registrare solo fino al primo turno». Reggi replica duro: «Bindi non è super partes, ha paura di perdere la sedia. Si rassegni, vinceremo al primo turno». L’impressione è che il documento finale sia stato lasciato volutamente ambiguo per consentire un’interpretazione restrittiva, che poi sarà corretta al tavolo con gli alleati, consentendo una partecipazione regolata ma larga.
Il nervosismo è palpabile. Franco Marini rompe il velo del non detto e dichiara esplicitamente che non vorrebbe cambiare lo Statuto che indica nel segretario il candidato alle elezioni. Il big abruzzese se la prende con Renzi: «La sua assenza è inaccettabile». Non è l’unico. Per Enrico Letta è una mancanza «grave», per Dario Ginefra «inqualificabile». Il plenipotenziario Reggi la giustifica così: «Non è venuto per non personalizzare lo scontro». Renzi, che non avrebbe avuto diritto di parola, se n’è stato alla larga anche per motivi di immagine e lascia a Reggi di esprimere soddisfazione. Roberto Speranza, del comitato Bersani, però attacca: «I renziani fanno buon viso a cattiva sorte». Le sagome degli sfidanti campeggiano all’ingresso: sono i manichini cartonati di «Occupy Primarie», gruppo di Pippo Civati. All’uscita Bersani è soddisfatto e rievoca il suo passato da baritono: «In un matrimonio cantai con la Ricciarelli “là ci darem la mano”. Con Renzi faremo un duetto».
Alessandro Trocino
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