Primo sì all’intervento militare in Mali
La risoluzione, votata all’unanimità , autorizza l’invio nel nord di una forza inter-africana che affianchi l’esercito regolare di Bamako nel conflitto Costretta per ora a mordere il freno sulla questione siriana, la “comunità internazionale” fa un significativo passo avanti per ndare a menare le mani nel nord del Mali, con la scusa sempreverde della minaccia qaedista. Nella notte tra venerdì e sabato il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha infatti votato una risoluzione, caldeggiata in primis dal governo transitorio maliano e dall’ex potenza coloniale, la Francia, che spiana la strada a un intervento militare esterno nel paese africano. Le potenze occidentali e le Nazioni unite si limiteranno a fornire un appoggio logistico, soldi, mezzi e addestramento, mentre il lavoro sporco sul terreno dovrà sbrigarlo una forza armata multinazionale creata in seno alla Cedeao, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale, un organismo in perenne debito di iniziativa e credibilità , che giusto aveva bisogno di uno stimolo energico esterno per trovare nuovo slancio. La risoluzione, votata all’unanimità dai 15 paesi membri, invita dunque i paesi membri della Cedeao a elaborare un piano e a presentarlo entro 45 giorni al Consiglio di sicurezza, che si riserva di dare il via libera attraverso una nuova risoluzione. Ma è chiaro che un piano c’è già , a partire dai 3 mila uomini già inquadrati e pronti ad essere schierati al fianco dell’esercito regolare maliano. Intanto quella approvata ieri, di risoluzione, esprime viva preoccupazione per le infiltrazioni di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) tra le forze che hanno assunto il controllo nel territorio conteso. E condanna, come esigeva Parigi, «le violazioni dei diritti umani commesse da ribelli armati, da gruppi terroristi ed estremisti». Il testo finale non tralascia di incentivare l’avvio di un negoziato serio tra il governo di Bamako e le milizie “occupanti”. Ben sapendo che i precedenti tentativi di far partire la trattativa non hanno finora prodotto alcun risultato. Un invito viene inoltre rivolto al Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla), che lotta per l’autodeterminazione del popolo tuareg, affinché recida i suoi legami con le milizie islamiste. Giorni fa l’inviato delle Nazioni unite in Mali, Ivan Simonovic, vice segretario dell’agenzia Onu che si occupa di diritti umani, ha riferito che a Gao, Mopti, a Timbuctù e nelle altre città del nord è stata imposta una forma ferrea di Sharia. Simonovic ha parlato di matrimoni forzati, prostituzione indotta, stupri, ha citato il caso di una coppia di adulteri lapidata, di taglio delle mani per presunti ladri. Il report sostiene che gli islamisti hanno stilato una vera e propria lista di proscrizione con i nomi delle donne incinte o con figli che non risultano sposate. E stigmatizza la furia iconoclasta con cui sono stati sfregiati i monumenti storici di Timbuctù. A tal proposito l’Onu fa sapere che la distruzione di ciò che viene considerato patrimonio culturale dell’umanità rientra nella categoria dei crimini di guerra, e che un’indagine preliminare è stata avviata a tal proposito dal Tribunale penale internazionale dell’Aja. L’opzione militare riceve così l’imprimatur dell’Onu alla vigilia del meeting in programma il prossimo 19 ottobre a Bamako, quando si riuniranno intorno allo stesso tavolo i rappresentanti di Nazioni Unite, Cedeao, Unione africana e Ue, oltre al governo transitorio maliano e ai paesi confinanti. Intanto chi può scappa, a prescindere dall’etnia e alla fede religiosa di appartenenza. Il conflitto, aggravatosi all’indomani del golpe che a Bamako ha deposto il presidente eletto e dell’offensiva che ha portato Mnla e islamisti a far sloggiare l’esercito dal nord, ha già provocato un milione e mezzo di sfollati.
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