Quella saracinesca sui nuovi lavori

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Secondo i sacri testi con la recessione la domanda di mobilità  urbana dovrebbe diminuire drasticamente. E invece non è così. E comunque non lo è in maniera omogenea sul territorio. Ad esempio in una città  come Milano, fortemente terziarizzata, la segmentazione del mercato del lavoro porta ad accrescere le necessità  di mobilità  urbana. Non è un caso che i disagi maggiori dello sciopero dei trasporti di martedì si siano sentiti soprattutto nella città  del Duomo.

È qui, infatti, che i mutamenti della composizione della forza lavoro e la non prevedibilità  dei comportamenti è più significativa. Sono spariti i grandi insediamenti industriali dei tempi fordisti, le concentrazioni di lavoro dipendente sono dimagrite di numero e di taglia (in attesa di vedere cosa accadrà  con lo sbarco di Unicredit in Porta Garibaldi) ed è cresciuto il popolo della partite Iva, dei consulenti, dei multi-lavori, delle baby sitter, delle badanti. Tutti costoro si muovono nella metropoli ad orari non codificati, molto spesso vengono dall’hinterland se non dalle province limitrofe del Piemonte e dell’Emilia e ovviamente hanno bisogno di una mobilità  a orari regolati e a buon prezzo. Quando si trovano di fronte a uno sciopero del trasporto pubblico tentano disperatamente di far combaciare i propri orari con le fascia di salvaguardia previste dal garante e dai sindacati ma è un rompicapo. Si spiega così l’estremo tentativo di superare l’ostacolo della saracinesca, si tenta fino all’ultimo di conciliare l’inconciliabile.
Se da Milano ci proiettiamo all’intero territorio nazionale il dato trova comunque delle conferme. Mentre la necessità  di risparmiare e tagliare i costi fa scendere drasticamente la mobilità  urbana con motivazione «tempo libero» (in un solo anno dal 35,1 al 30,6%) l’esigenza di andare a lavorare aumenta anche negli anni della crisi. Cresce di pari passo la motivazione di mobilità  dovuta alla gestione dei servizi per la famiglia e se ne può tranquillamente dedurre che le acrobazie femminili per lavorare, curare i figli, portarli ai corsi, fare la spesa, cominciano a lasciare un segno tangibile anche sulle statistiche curate dall’osservatorio dell’Isfort.
Le ricerche che vanno sotto il nome di «Audimob» sottolineano anche un altro aspetto: l’invecchiamento della popolazione e l’allargamento delle fasce di popolazione immigrata, due segmenti di domanda che certo non usano il taxi e preferiscono il trasporto collettivo, contribuiscono a rafforzare l’uso di tram e metro e in orari anche in questo caso difficilmente irreggimentabili. Complessivamente i mezzi pubblici urbani hanno visto incrementare il volume dei passeggeri del 37,2% in quinquennio. Gli spostamenti in auto sono diminuiti in modo consistente nel 2011 (-10,9%) — negli anni precedenti molto meno — e la causa prima può essere facilmente rintracciata nell’inesorabile aumento del prezzo della benzina. Quando avremo i dati del 2012 è assai probabile che troveremo questa tendenza decisamente accentuata.
Sintetizzando si può dire che nelle grandi città  la crisi per ora non ha smorzato la vitalità  e la tendenza a muoversi e la scelta degli orari si è notevolmente differenziata. Probabilmente si sarebbe dovuto approfittare della liberalizzazione di taxi per costruire qualcosa di innovativo e sussidiario sul terreno dell’offerta di trasporto ma purtroppo in Italia si riesce a fare poca innovazione sociale e il taxi resta esclusivamente un consumo di fascia alta. A pagare il prezzo di una ridotta mobilità  (extra-urbana) sono in questo momento i gestori di autostrade e autogrill. Si muovono molte meno merci di prima e anche il traffico di auto a lunga percorrenza è sceso, tanto che potrebbero esserci contraccolpi occupazionali specie nelle regioni meridionali dove alcuni gestori non riescono più a tenere sotto controllo il conto economico. Ma attorno alle città  la diminuzione del traffico è meno sentita. Il caso di Milano fa scuola anche qui. Un trend di medio periodo dice che molti residenti si sono spostati verso l’hinterland. Abitano fuori Milano ma ogni giorni si recano in città  per lavorare. Un dato non aggiornatissimo parla di 1,3 milioni di milanesi residenti a fronte di 900 mila pendolari giornalieri. È evidente che l’esercito di tutti coloro che si recano nella varie ore della giornata nella metropoli in parte mette a dura prova il traffico delle arterie di accesso alla città  e delle tangenziali e in parte si riversa sul trasporto ferroviario e su gomma. Il pendolare-tipo degli anni Dieci non è stato espulso dalla città  bensì ha scelto di riorganizzare la sua vita allontanandosene. Risparmia in affitto e costi vari, in provincia usufruisce di reti familiari e di welfare più robuste, riduce almeno in parte l’esposizione allo smog e il sabato e domenica già  si trova fuori città .
Il pendolare di oggi subisce innanzitutto l’aumento della benzina ma si considera una vittima sacrificale dell’alta velocità . Ha visto infatti spostarsi progressivamente l’enfasi delle Ferrovie dello Stato verso il trasporto più moderno e remunerativo mentre le linee locali sono mediamente peggiorate in qualità  del materiale rotabile e in puntualità . Di fronte a questi mutamenti della domanda sociale i sindacati e il Garante degli scioperi parlano un linguaggio arcaico. Per loro, solo per loro, il tempo non è mai passato.


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