Sanatoria migranti, tutti i perché di un flop

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Hanno funzionato poco e male, infatti, sia la chance offerta ai datori di lavoro che impiegano irregolarmente i migranti di sanare l’illecito accedendo a una sorta di condono, sia la possibilità , per i sans papier, di uscire dallo scomodo status di «clandestini» attraverso la regolarizzazione lavorativa. (…) Ma le cose sono andate storte anche per chi nel governo guardava solo a far cassa. Il 15 ottobre, ultimo giorno utile, di domande ne erano arrivate solo 134.576. Molte meno rispetto ai 380.000 migranti in nero stimati dalla Fondazione Moressa e ai 450-500mila di Caritas e di altre associazioni. Non solo. La parte del leone l’ha fatta ancora una volta il lavoro domestico – 115.969 domande tra colf e badanti – mentre sono solo 18.607 le domande che interessano commercio, agricoltura, allevamento, industria.
Flop del resto ampiamente annunciato. Per mesi, e inutilmente, da sindacati, associazioni, giuristi. Molto pesanti, intanto, gli obblighi economici dei datori di lavoro eventualmente intenzionati ad approfittare del condono: avrebbero dovuto un’una tantum di 1.000 euro, raddoppiata rispetto al 2009 e a fondo perduto, non restituibile cioè nel caso in cui le domande, per mancanza di qualche requisito, dovessero essere respinte; e un’altra somma consistente, fino a 6-7.000 euro, per sanare, per i settori diversi dal lavoro domestico, i sei mesi prescritti di contributi non versati e di retribuzioni inferiori ai minimi contrattuali. (…)
Ma le difficoltà  da superare non finivano qui. La preoccupazione del governo di esorcizzare in ogni modo l’accusa di aver introdotto quasi di soppiatto, in un testo sull’emersione del lavoro nero, una scandalosa procedura di regolarizzazione dei sans papier – «una insostenibile e irresponsabile sanatoria», ebbe a tuonare in agosto l’ex ministro Maroni – ha prodotto nel testo del decreto e poi nelle disposizioni applicative una quantità  di condizioni ostative e di ambiguità  interpretative davvero eccessiva. (…) L’aspetto più significativo, e più tormentoso per persone giuridicamente “invisibili”, di questo sconcertante vorrei ma non posso, è stato l’obbligo di documentazione della presenza in Italia al 31 dicembre 2011, e di una documentazione rilasciata dal «pubblico». Per mesi, e fino a una settimana prima della scadenza dell’invio delle domande, potevano disporre di una documentazione «pubblica» solo gli invisibili finiti al pronto soccorso, coinvolti in incidenti o reati, colpiti da ancora non eseguiti decreti di espulsione. (…) Ma il ministero degli interni non si è preso la responsabilità  di produrre in proprio un’interpretazione estensiva di quella nozione di «pubblico» e ha preferito lavarsene le mani ricorrendo all’Avvocatura dello Stato, e ai suoi tempi mai rapidissimi di risposta ai quesiti. Il risultato è stato che solo agli sgoccioli della procedura si è saputo che potevano essere presi in considerazione anche contratti nominali con le aziende municipalizzate e abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico. (…) Troppo tardi per molti degli interessati, e comunque con rischi ancora consistenti , in sede di analisi della documentazione, di rigetto delle domande. Vane, ovviamente, sono state anche le richieste di riapertura dei termini e di proroga oltre il 15 ottobre della «finestra». Non finiscono qui, dunque, le fatiche della regolarizzazione. Ci saranno contenziosi, tribunali, sentenze. Il senso politico di tutto ciò è fin troppo chiaro, ma qual è il vantaggio che questi modi di gestione dell’immigrazione portano alla società  italiana? La politica, anche quella dei tecnici, continua a tacere.


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