Scout contro Sessantotto, le Due Anime Pd

by Sergio Segio | 23 Ottobre 2012 5:35

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MILANO — Anime. O correnti. Indipendentemente da come le si voglia chiamare, in questo momento nel Pd si stanno fronteggiando due diversi modi di intendere la sinistra che è e che verrà . Capirle non è complicato, anche perché a incarnarle sono Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi. Il segretario che non vuole farsi rottamare e il sindaco aspirante premier. E i loro sostenitori, renziani e bersaniani. Categorie politiche che raccontano lo scontro nel Pd: tra chi vuole rottamare anche un passato considerato ingombrante e chi invece proprio quella storia vuole difendere come valore. Divisi più o meno su tutto, dagli slogan fino al concetto di denaro: «La sinistra ha una strana idea di denaro» dice il sindaco di Firenze.
E pensare che se fosse solo per le tesi di laurea, qualcosa in comune i due sfidanti ce l’avrebbero: quella di Renzi in Giurisprudenza, sul «Sindaco Santo» di Firenze, il dc Giorgio La Pira. Quella di Bersani in Filosofia, su papa Gregorio Magno. Poi, però, le strade si separano: post ideologico versus ideologico. Matteo Renzi è uno che chiama tutti per nome, un ex segretario provinciale ppi che cita Blair e Miliband, che usa parole chiave come «adesso» e «rottamazione». Che dell’esperienza di Botteghe oscure vuol sapere poco, e alla fotografia di Enrico Berlinguer preferisce quella di Barack Obama. Pier Luigi Bersani invece si affida a termini più tradizionali come «coraggio», «Italia» e «legalità ». Ricorda uno per uno i nomi dei volontari delle ex feste dell’Unità  oggi del Pd, cita Reichlin, crede nell’uso della parola «compagni» e mostra con orgoglio l’Unità . Figlio di un benzinaio di Bettola, in provincia di Piacenza, racconta ancora oggi con orgoglio quando organizzò lo sciopero dei chierichetti contro il parroco per un’ingiusta suddivisione delle mance. Renzi invece, figlio di un ex consigliere comunale dc di Rignano sull’Arno, da scout si firmava Zac quando dirigeva la rivista nazionale Camminiamo insieme. Ed è cosa nota che ancora diciannovenne, nel 1994, per cinque puntate consecutive partecipò come concorrente a «La ruota della fortuna», vincendo 48 milioni di lire. Stile più da manager che da capo di partito, iperattivo e stakanovista ai limiti della sopportabilità , ha puntato sul restyling della sua immagine (passando da abiti dozzinali a Ermanno Scervino), su suggerimento del suo spin doctor, il produttore tv Giorgio Gori.
Guai invece a chiedere a Bersani del suo stilista preferito: «Se devo confrontarmi su queste cose, preferisco perdere…», o a parlargli di spin doctor. Il segretario non ha un vero staff per la comunicazione. Piuttosto un «Tortello magico» (copyright Mario Adinolfi) nel quale gli uomini di punta sono quasi tutti «di sinistra», legati alla comune esperienza giovanile nella Fgci (Errani) e storici collaboratori (Di Traglia e Seghetti). A un brainstorming con gli scrittori di punta preferisce fare due chiacchiere con il consigliere regionale Miro Fiammenghi, vecchio amico di Ravenna, canale di collegamento in Emilia tra i bersaniani e i dalemiani, e mediatore con il mondo di piccoli e grandi poteri locali (da Hera, alle Coop, a Unipol).
Diverso invece l’universo finanziario di riferimento di Matteo Renzi. Del golden boy Davide Serra e del suo fondo di investimento Algebris (compresa la polemica sulle Cayman) in questi giorni si è scritto molto. Ma tra i finanziatori a lui vicini vanno ricordati almeno altri due nomi: Nerio Alessandri, patron di Technogym e sponsor dell’incontro (poi saltato) con Bill Clinton a Firenze, e Sebastiano Cossia Castiglioni, proprietario dell’Azienda Agricola Querciabella ma pure unico italiano nello Humane and Animal Rights Advisory Board della «Sea Sheperd»: la temuta flotta che protegge le balene. Insomma, l’obiettivo di Renzi sembra quello di cancellare la parola «comunista» dal Pd. Mentre Bersani non intende rinunciarci. Una decisione confermata dalla scelta di quella foto di famiglia accanto alla pompa di benzina del padre, simbolo di un’estetica operaista e malinconica. In pieno contrasto con le parole che sua madre Desolina, quando già  lui muoveva i primi passi in politica, gli sussurrava: «Se vuoi essere comunista, almeno non raccontarlo in giro».

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