Si dimette il vertice della Grandi rischi «Siamo alla paralisi»
ROMA — Il primo è il presidente della commissione Grandi rischi, Luciano Maiani. «Non vedo le condizioni per lavorare serenamente» mette nero su bianco sulla lettera di dimissioni. Il papà della protezione civile Gianni Zamberletti lo segue («non in polemica con i magistrati ma per una preoccupazione sulla tutela della libertà della comunità scientifica»). L’intero ufficio di presidenza della commissione, di lì a poco, lascia. All’indomani della condanna a sei anni per omicidio colposo (involontario) nei confronti dei sette scienziati ed esperti che 5 giorni prima del sisma fecero la riunione di 45 minuti all’Aquila cui seguirono le rassicurazioni ai cittadini, la faglia si apre sotto la protezione civile.
Al punto da spingere il capo, Franco Gabrielli, a paventare, in una nota del Dipartimento, «la paralisi delle attività di previsione e prevenzione». E lanciare un appello alle istituzioni, affinché «trovino il modo per restituire serenità ed efficienza all’intero sistema nello svolgimento delle proprie attività ». Pur sottolineando che garantirà lo «svolgimento al meglio dei propri compiti», il Dipartimento lancia l’allarme sulle due possibili conseguenze della condanna «su tutti coloro che sono chiamati ad assumersi delle responsabilità ». Che facciano «regredire la protezione civile a oltre vent’anni fa quando era solo soccorso e assistenza», oppure che chi è incaricato di valutare «finisca per alzare l’allerta al massimo livello» così da generare un’esponenziale crescita di allarmi tali da generare o sfiducia o panico diffuso.
È lo scenario peggiore. Commentato con amarezza all’Aquila dai parenti delle 29 vittime rappresentate nel processo. «Sarebbe come se io, che sono chirurgo, in caso di condanna di un errore compiuto da un mio collega smettessi di prendere il bisturi», spiega Vincenzo Vittorini che «per aver creduto alle minimizzazioni» perse la moglie e una bimba. «Non è così. I migliori devono assumersi le proprie responsabilità , dopo una valutazione approfondita del rischio, che qui non c’è stata. Se io opero dopo una frettolosa diagnosi, senza ascoltare il consulente e rassicurando il paziente che tutto andrà bene faccio qualcosa di abnorme».
Ma c’è un’altra via «al di là delle dimissioni»: «un documento condiviso dalla commissione Grandi rischi che «possa portare a gestire in modo diverso le cose». La prospetta lo scienziato Stefano Gresta, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), membro della commissione, toccando un punto cruciale: la distinzione delle responsabilità politiche e scientifiche. Spiega Gresta: «La sentenza è stata un elemento scatenante» ma il punto è che «non c’è una chiara divisione dei ruoli tra la scienza e chi deve prendere decisioni».
Lo conferma anche l’ex capo della protezione civile Zamberletti che punta il dito verso Guido Bertolaso: «La responsabilità delle decisioni è politica. Quella di sgomberare la Garfagnana la presi io, non gli scienziati, potevo essere ottimista e invece decisi di essere prudente». Alla riunione dell’Aquila lui non partecipò a causa di un’indisposizione della moglie. Ma, fa notare: «Nessuno dei 4 componenti della commissione si era discostato dalla valutazione prudenziale» che non escludeva la possibilità che potesse esserci una imminente scossa forte. Il verbale riportò altro: «I verbali o si fanno seduta stante o non si fanno, non si possono fare dopo la scossa del 6 aprile».
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