Solo il 10% di chi vive sulla strada chiede l’elemosina

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ROMA – Su 47.648 persone senza dimora, solo il 10% chiede l’elemosina, mentre il 65% riesce a sopravvivere senza risorse. È uno dei dati che emerge dal Rapporto 2011 di Istat, Caritas, Fiopsd e ministero del Welfare sui senza dimora in Italia. “Dati che demoliscono alcuni tra i più diffusi pregiudizi che ancora circondano la figura dell’homeless nel nostro Paese – precisa Paolo Pezzana, presidente della Fiopsd – In questo caso, la particolare resilienza degli homeless è indice, da un lato, della condizione di assoluta deprivazione e mancanza di dignità  in cui sono costretti a vivere, dall’altro ci mostra come vi siano decine di migliaia di persone che oggi in Italia vivono con nulla. E in tempi di crisi economica potremmo essere tentati di considerarli ‘maestri’ alla cui scuola dovremmo apprendere tutti qualcosa su ciò che è esseniale per la sopravvivenza”. Tra gli altri elementi che Pezzana sottolinea c’è sicuramente il fatto che le persone senza dimora non sono poche. Il rapporto ci rivela che rappresentano lo 0,2% della popolazione residente, un dato rilevante. “Ma non è che la punta dell’iceberg – dice il presidente della Fiopsd – Sotto quello 0,2% sta una platea di soggetti emarginati e a rischio crescente di emarginazione che si sta estendendo fino a toccare ciascuno di noi, direttamente o nelle proprie reti di prossimità . Essere senza dimora – continua Pezzana – non è una scelta di alcuni ma un rischio connaturato all’attuale assetto economico e sociale che sembra potersi riprodurre solo producendo emarginazione”. 
Un altro stereotipo da demolire è il fatto che il fenomeno homelessness sia metropolitano o tipico delle aree più affluenti e servite del Paese. “Certo, realtà  come Milano e Roma, continuano a giocare ua grossa parte nelle rappresentazioni territoriali del fenomeno ed è normale che dove si offrono servizi si concentrino le persone – dice Pezzana – Tutto questo non accade più solo in alcune aree del Paese, ma sta dilagando anche in provincia”. Sono molti i servizi a bassa soglia che nascono in piccole città  e comuni lontani dai centri urbani per rispondere, evidentemente, a un’emergenza che si presenta. Il rapporto mette in evidenza, inoltre, che il senza dimora non è il barbone che è in strada da molto tempo ma una persona relativamente giovane, in grado di socializzare, con capacità  lavorativa significative e una durata media in stato di grave emarginazione non lunghissima. “Certamente esistono profili più simili a quelli del ‘barbone’  e spesso si tratta di persone italiane, da lungo tempo in strada, con stato di salute precario e scarsa educazione – continua Pezzana – ma si tratta di una piccola quota nell’universo considerato e modellare su di loro la rappresentazione del fenomeno è sbagliato, fuorviante e colpevole perché troppo comodo per costruire un alibi inesistente a chi volesse dire ‘io sono diverso da loro’: nessuno di noi è diverso da un homeless e tutti corriamo lo stesso rischio di impoverimento ed emarginazione”. 
Un altro pregiudizio è quello secondo cui gli homeless non sono in grado, senza un adeguato percorso rieducativo, di condurre da subito una vita normale. “È vero che esistono persone senza dimora che per guadagnare dignità  e autonomia hanno bisogno di un accompagnamento graduale e assistito ma non sono la maggior parte della popolazione di cui parliamo – afferma Pezzana – Se potessero esigere diritti fondamenatali come casa, lavoro e servizi di base, molti homeless, specie stranieri, non sarebbero tali e avrebbero in sé tutte le risorse per riprendere un cammino di autonomia sostenibile”. Infine, prevenire l’homelessness è difficile ma non impossibile. “La mancanza di un’educazione adeguata, di una socializzazione familiare equilibrata e di un’infanzia serena incidono sui percorsi di vita – spiega Pezzana – Non si può dire che tutti gli homeless abbiano avuto un’infanzia difficile o livelli di istruzione bassi, ma certamente la mancanza di titoli di studio e l’esperienza di rotture familiari precoci, violenze o istituzionalizzazioni minorili è un fattore che espone all’emarginazione”. In questo senso prevenire l’homelessness è un’attività  che comincia fin da piccoli, “interrompendo il perverso circuito della povertà  minorile che vede oggi a rischio il 25% dei minori italiania e che fa purtroppo preveder  un futuro di homelessness per molti bambini di oggi”. (lp)

 

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