UN’ALTRA TANGENTOPOLI

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È un inutile tentativo di far sopravvivere una giunta già  profondamente delegittimata da sistematici episodi di corruzione, per i quali lo stesso Formigoni è indagato.
Come già  la Polverini nel Lazio, anche il presidente della giunta regionale lombarda è destinato a uscire presto di scena. I leghisti che l’hanno sorretto finora per meri calcoli di potere andrebbero incontro all’autodistruzione, perseverando in una scelta che contraddice la loro identità . Dopo decenni di rassegnazione a una politica ridotta ad affarismo, il sistema sta collassando. Dal dirigente Pdl che vuole posteggiare nello spazio riservato al disabile, e per questo gli buca le gomme dell’auto, al funzionario che lucra sulle colonie estive dei bambini, dall’assessore regionale alla Sicurezza, Romano La Russa, che affitta un suo capannone a venditori di merce contraffatta, ai capigruppo che si appropriano di denaro pubblico, fino al culmine dei voti di preferenza comprati dalla criminalità  organizzata, di giorno in giorno la galleria degli orrori supera ogni immaginazione. Di questo passo torneremo al lancio delle monetine e magari al cappio esibito in Parlamento, trucchi buoni solo per allontanare la necessaria riforma della politica. Non a caso, l’apparato mediatico di proprietà  dell’uomo che ha allevato questa razza predona, ha ricominciato con spregiudicatezza a cavalcare la sacrosanta indignazione dei cittadini contro la “magna casta” (è il titolo di un giornale berlusconiano che fino a ieri sparava contro le “toghe rosse”). Da Fiorito alla Minetti, i protagonisti del degrado vengono invitati a far mostra di sé nei salotti televisivi per essere sottoposti al dileggio di chi li aveva scritturati, nella speranza che il coro “tutti ladri!” stordisca l’opinione pubblica, manipolando il necessario discernimento delle responsabilità .
Gli stessi che hanno rigonfiato scandalosamente i costi della politica e hanno riempito le istituzioni di farabutti, ora si fingono nauseati in attesa di riproporsi magari come artefici della bonifica. Anche nel corso della prima Tangentopoli si comportarono così, da forcaioli, salvo rivoltarsi all’improvviso contro i giudici non appena emerso l’uomo forte della destra al cui servizio si misero in fila. Basta vedere, oggi, come hanno esaltato fin che possibile il “coraggio” della Polverini nella speranza che resistesse, per poi scaricarla. Faranno lo stesso con Formigoni. L’unica differenza è che l’uomo forte cui si aggrapparono vent’anni fa per resuscitare un sistema di potere ferito, non è più presentabile.
La Nuova Tangentopoli si manifesta in un contesto di emergenza democratica più acuta di quella vissuta nel 1992. Non solo per la recessione economica e l’impoverimento diffuso della popolazione. Ma anche perché l’influenza delle organizzazioni criminali e dei clan affaristici nelle istituzioni è ormai pervasiva, incontrastata da una politica priva di anticorpi, come dimostra l’inchiesta della magistratura lombarda. Qualcuno dovrebbe chiedere scusa a Roberto Saviano, dileggiato quando segnalò che anche in Lombardia la ‘ndrangheta controlla porzioni rilevanti di territorio e prospera con le sue attività  di riciclaggio finanziario e imprenditoriale.
Dal cardinale Scola a Comunione e Liberazione, dalla destra pulita di Gabriele Albertini all’Assalombarda, c’è da augurarsi che si levi una sollecitazione univoca per indurre Formigoni a levarsi di mezzo, consentendo il ripristino di una normale dialettica democratica
sulle ceneri della giunta degli indagati e degli arrestati. Lo stesso governo tecnico deve affrettarsi, per esempio, a rimuovere il prefetto di Milano già  dispensatore di favori a una delle favorite del Sultano, e ora compromesso in relazione improprie con dei corrotti da cui ha ottenuto a prezzi di favore la casa per il figlio.
La compravendita di voti controllati dalla ‘ndrangheta a favore dell’assessore Zambetti, infine, dovrebbe seppellire il tentativo di reintrodurre nella legge elettorale nazionale quel sistema delle preferenze che già  tanti danni produce nella politica locale. O vogliamo forse che dalla Nuova Tangentopoli usciamo inneggiando alle manette e a chissà  quale nuovo uomo forte? L’indignazione dei cittadini deve produrre un vero ricambio di classe dirigente, cioè una riforma della politica. La Lombardia che ha già  vissuto la pacifica “liberazione” di Milano, ha in sé tutte le risorse per farsene battistrada.


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