Aggiungi un posto atavola,anzi nove miliardi

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Titolo del libro, 9 miliardi di posti tavola, pubblicato da Edizioni Ambiente. Dal suo osservatorio culturale, centrato sull’interazione tra vitalità  degli ecosistemi e capacità  agricola, guarda con crescente preoccupazione al progressivo squilibrio prodotto dalla rigidità  di un modello di crescita sprecone, poco capace di recuperare materiali o di usare l’energia che si rinnova invece di cercare nuovi pozzi di petrolio. 
Lei fa riferimento alla diminuzione delle scorte agricole e all’allarme idrico, ma c’è chi sostiene che è possibile domare queste difficoltà  con la tecnologia.
«Io non ne faccio una questione ideologica, mi piace far parlare i numeri. Nei paesi ad agricoltura avanzata la capacità  di produzione per ettaro, di riso e fru-
mento, dopo decenni di crescita, si è fermata. L’80 per cento delle riserve ittiche oceaniche è sfruttato al limite della capacità  di rigenerazione o oltre il limite. Subiamo una perdita netta, a livello globale, di 5,6 milioni di ettari di foreste l’anno e alcuni paesi, come la Mauritania, sono diventati luoghi senza alberi. In quasi un terzo delle aree coltivate nel mondo si sta perdendo lo strato di terreno fertile che garantisce la vita. Tutti segnali che indicano la necessità  di cambiare rotta».
Dunque non ritiene possibile un bis della rivoluzione tecnica che nel secolo scorso fece fare un balzo formidabile alla capacità  produttiva dei campi?
«Non è possibile e non è neppure auspicabile perché quel balzo fu pagato a caro prezzo. È vero che tra il 1950 e il 1973 il raccolto mondiale di cereali è raddoppiato grazie all’aumento della produttività  e all’aumento dell’irrigazione. Ma l’abuso dei concimi chimici, salito dai 14 milioni di tonnellate nel 1950 ai 177 nel 2010, hanno creato uno squilibrio di cui oggi stiamo pagando il prezzo».
Eppure l’irrigazione sta crescendo.
«Molto poco. L’espansione delle aree irrigate, che per decenni è stata velocissima, va al rallentatore: tra il 2000 e il 2009 appena un 9 per cento. E oggi l’area irrigata pro capite è del 10 per cento inferiore a quella del 1960. Un campanello d’allarme grave visto che il 40 per cento dei cereali prodotti nel mondo viene coltivato su terre irrigate. E che le bolle alimentari minacciano 18 paesi in cui vive più della metà  della popolazione mondiale: l’Arabia Saudita dovrà  abbondonare la produzione di frumento; in Yemen la falda idrica scende di due metri l’anno».
A questi fattori si sommano le polemiche sul land grabbing, l’acquisto, da parte di Stati e multinazionali, di grandi estensioni di terre nei paesi poveri.
«È un altro effetto del problema che ho descritto. La competizione per la terra diventa sempre più violenta non solo perché la popolazione cresce, ma anche perché ci sono tre miliardi di persone che risalgono nella catena alimentare, cioè passano da una dieta povera basata su vegetali e legumi a una dieta di carne, che richiede molta più acqua e più energia».
Che dimensione ha il fenomeno?
«Secondo i dati forniti dalla Banca Mondiale riguarda 56 milioni di ettari, un’area più grande di quella destinata negli Stati Uniti alla coltivazione del mais e del frumento. Inoltre l’occupazione di questi territori altera gli usi dell’acqua modificando il diritto preesistente e sottraendo disponibilità  idrica ai paesi che si trovano a valle dei fiumi su cui si interviene. Un meccanismo destinato a causare forti tensioni»


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