Bersani-Nichi, è storia nuova

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NAPOLI. Esauriti tutti gli abbracci, i cori «Nichi-Nichi» che rassicurano sulla presenza degli elettori di Sel, Bersani e Vendola chiariscono subito l’importanza della serata. «Finisce la disputa sulle nostre biografie ideologiche e ci confrontiamo sull’oggi», dice Vendola. «Stasera sta succedendo una cosa molto importante, stringiamo un patto di governo che si basa anche sul nostro rapporto personale di stima e fiducia», aggiunge Bersani.
Finisce qui a Napoli, nel teatro Politeama, la lunga marcia di avvicinamento della sinistra di Nichi Vendola al centrosinistra di Bersani. Tutto naturalmente tornerebbe in gioco nel caso domenica vincesse Renzi, ma è un’eventualità  che questa grande sala piena nel cuore di una città  decisiva per il ballottaggio sembra allontanare. Vendola porta in dote i suoi 500 mila voti – o almeno la metà , stimano prudenti i suoi – ma anche una serie di richieste. Che si chiamano Pomigliano, beni comuni («una legge nei primi cento giorni»), un cambiamento forte nell’azione di governo. Spiega che la sinistra nella coalizione non può essere pesata solo al suo 16%: «Molti al primo turno mi hanno detto ‘voto te col cuore ma Bersani con la penna’», dice. Bersani ricambia con un riconoscimento: «Nichi ha accettato che ci fossero più candidati del mio partito, le primarie aperte, anche sapendo di averne uno svantaggio». Ma risponde con poche concessioni sul programma, se non quella che, a modo suo, cercherà  di allontanare il fantasma del Monti bis: «Non siamo mica qui a pettinare le bambole».
Il secondo turno non è affare da percentuali, bisogna riportare il più possibile i propri elettori al seggio. E’ per questo che Bersani torna qui a distanza di 15 giorni, con Vendola che proprio in città  ha registrato il suo miglior risultato fuori dalla Puglia. Tolte le grandi regioni del nord, è in Campania che i due hanno messo assieme il maggior numero di voti assoluti, quasi 150mila su poco più di 200mila votanti. Il sud è una «cintura del sole» (oggi però c’è tempesta) che può mettere in banca il successo del segretario, come la «cintura della ruggine» ha fatto vincere Obama. Ma la Campania non è più l’Illinois, graniticamente democratica, piuttosto assomiglia all’Ohio: nel confronto con il centrodestra si può vincere o perdere ma se si vince allora diventa decisiva.
La regione per lunghi anni è stata il granaio del centrosinistra, ha smesso di esserlo dopo la notte del 2006 che assicurò a Prodi la vittoria su Berlusconi. Da allora un crollo continuo che ha portato la coalizione, nelle sue diverse forme, dal milione e ottocentomila voti con cui Bassolino aveva trionfato nel 2005, al milione scarso che ha fatto perdere De Luca nel 2010. Il quale sindaco di Salerno – che sta avviando anche il figlio al parlamento – è il primo grande elettore di Bersani al sud. Ha portato a votare alle primarie un salernitano su 20, neonati di destra compresi. Poi ha rivendicato il risultato, definendosi modestamente un «esponente radicato e credibile».
Per sentire almeno un po’ di «profumo di sinistra», Pd e Sel si sono dati appuntamento in questo storico teatro che sta sul pizzo del Monte di Dio, addossato al quel Calascione dove Giaime Pintor e altri intellettuali nel ’43 trovarono casa a un primo gruppo di propaganda antifascista nella Napoli sotto i bombardamenti. Pare che lo staff di Bersani sia preoccupato assai della tenuta del voto vendoliano. Non mancano, nemmeno qui in città , i segnali che fanno temere uno scarso entusiasmo per il segretario Pd da parte degli elettori di Sel. Evidente la consapevolezza del problema da parte dei due contendenti rimasti in lizza, già  nel faccia a faccia televisivo. Bersani ha parlato di «Nichi» come un alleato affidabile, avvitato a confluire nei socialisti europei. E proprio «socialista europeo» Vendola ha definito il segretario, sull’Unità . Ma Renzi sa che negli elettori di Sel può far breccia la sua carica anti establishment, così come la sua indisponibilità  ad «inciuci» con Casini. Tenta di parare il colpo Vendola: «E’ il sindaco di Firenze a incarnare l’inciucio sublime tra sinistra e liberismo».
Ma c’è un’altra sfida sullo sfondo di queste primarie, e anche questa è ambientata a Napoli. Protagonisti stavolta sono il sindaco De Magistris che ha ormai deciso di schierare con il centrosinistra la sua «lista arancione» e il governatore pugliese. Giocano nello stesso campo e i rapporti tra loro sono tornati a farsi difficili. Competition is competition, diceva il massimo esperto delle rivalità  interne alla coalizione, Romano Prodi. Quelli di Sel trattano De Magistris da ultimo convertito, irridendo alla sua lentissima discesa in campo. E così fa il Pd che è all’opposizione in città  e che però può giustamente rivendicare di essere riuscito ad allentare un po’ le maglie del cosiddetto decreto «salva comuni». Per Napoli sarà  una specie di commissariamento, ma l’alternativa sarebbe stata il dissesto e la caduta della giunta «arancione».
E Renzi? Renzi a Napoli è andato maluccio, si è fermato più di duemila voti sotto Vendola. Con lui è schierata la corrente migliorista del golfo, il cui più alto rappresentante siede al Quirinale. I primi due supporter cittadini del sindaco di Firenze sono presidente (Umberto Ranieri) e vicepresidente (Alfredo Mazzei) della fondazione Mezzogiorno Europa, creatura diretta di Giorgio Napolitano. Ranieri, senza girarci attorno, ha dato la colpa del cattivo risultato ai «notabili» del partito, così come nel gennaio 2011 spiegò con il voto controllato dai clan la sua sconfitta alle primarie per il sindaco. Ma attenzione: l’unico quartiere dove Renzi domenica scorsa ha chiuso in testa, con l’eccezione degli iper borghesi Chiaia e Posillipo, è proprio Miano, il rione della periferia nord che si segnalò la volta scorsa per le truppe cammellate dalla malavita. Renzi oggi torna a Napoli, anche lui in un teatro. L’ultima volta c’era stato (per un paio d’ore) due mesi fa.


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