Cdp-Fondazioni: dopo il danno, la beffa?

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Facciamo un passo indietro. Quando nel 2003, il Ministro Tremonti trasformò la Cdp in SpA, per favorire l’ingresso (30%) delle Fondazioni bancarie- assegnò loro «azioni privilegiate» ovvero azioni che davano diritto ad un dividendo annuale preferenziale pari al 3% del valore nominale. Piccolo favore che, a fronte del rendimento garantito ai risparmiatori postali dell’1,5%, ha consentito alle Fondazioni bancarie profitti annuali dell’ordine del 13%,.
Non solo: oltre ad indicare il Presidente del Consiglio di Amministrazione, l’onnipresente Franco Bassanini, le Fondazioni hanno usufruito di una presenza maggioritaria nel Comitato d’Indirizzo e totalitaria nel Comitato di supporto degli azionisti privilegiati, organi della Cassa Depositi e Prestiti. Un insieme di opportunità  che, nonostante le paradossali dichiarazioni del Presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti « (…) non abbiamo mai influenzato o, ancor più, determinato le politiche di Cdp» (Reuters, 31/10/2012), hanno radicalmente trasformato quello che era un ente pubblico in una vera e propria merchant bank che opera a largo raggio nell’economia e sui mercati finanziari di tutto il mondo. La conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie – già  oggetto di proroga a fine 2009- comporta per le Fondazioni il versamento di una quota pari al valore attuale del 30% del capitale sociale in loro possesso, ovvero – secondo gli studi commissionati dal Governo- pari a 5 miliardi di euro. Una cifra importante, che le Fondazioni bancarie – forse sfibrate dalle ricapitalizzazioni delle rispettive banche in crisi – non hanno alcuna intenzione di versare, pretendendo di trattare su una cifra «forfettaria» non superiore ad 1 miliardo. Alcune riflessioni vanno dunque fatte a voce alta. 1) La Cassa Depositi e Prestiti si alimenta con il risparmio dei cittadini (223 miliardi di euro!) garantito dallo Stato, per cui la diatriba con le Fondazioni non può essere risolta nelle segrete stanze, bensì divenire dibattito pubblico sul ruolo della Cdp per uscire dalla crisi e costruire un nuovo modello di finanza pubblica. 2) Il rifiuto delle Fondazioni a versare il dovuto deve divenire l’occasione per il loro recesso dalla partecipazione in Cdp e l’avvio della ripubblicizzazione della stessa. 3) Poiché ogni altra soluzione – nuova proroga e/o accordo forfettario al ribasso – costituirebbero un danno erariale importante, occorre diffidare il Ministero del Tesoro dall’operare in tale direzione e allertare la Corte dei Conti. Perché il risparmio di 24 milioni di cittadini è un bene comune e la garanzia di un futuro diverso.


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