Chi è l’algido leader del futuro cinese
La sua è stata una vita vissuta nella cerchia ristretta del potere, dove ha sperimentato polvere e altari. A partire dalla Rivoluzione culturale Xi Jinping, 59 anni, destinato a diventare il prossimo capo della leadership cinese, è un membro a pieno titolo dell’aristocrazia rossa del paese in quanto figlio di Xi Zhongxun, veterano della rivoluzione, combattente a fianco di Mao nella guerra di liberazione e successivamente vice premier; vittima di una purga politica fu riabilitato da Deng Xiaoping. Il successore di Hu Jintao è anche un principe consorte, avendo sposato una delle più famose folk singer cinesi, la bella Peng Liyuan, che, in una singolare commistione non infrequente in Cina, riveste anche la carica di generale dell’esercito oltre che essere un’abile donna di affari. Dotato di una statura fisica più alta della media, Xi Jinping spicca sugli altri leader e grazie anche a una maggiore vivacità nel porsi in pubblico appare decisamente più vitale dell’algido predecessore.
Con una vita vissuta all’interno della cerchia ristretta del potere, inevitabilmente Xi ne ha sperimentato polvere e altari. Durante la Rivoluzione culturale anche lui viene spedito in campagna per imparare dai contadini. Durante la sua permanenza nei poveri villaggi dello Shaanxi, decide di iscriversi al Partito. Nel 1975 torna a Pechino dove si iscrive all’università Tsinghua, alma mater anche di Hu Jintao. E proprio dalle prestigiose aule della Tsinghua inizia la sua ascesa politica, costruita soprattutto nelle aree economicamente più dinamiche del paese, prima il Fujian e poi lo Zhejiang, dove si guadagna la fama di manager efficiente e grande sostenitore delle riforme economiche. Nel 1985 si apre nella sua vita una breve parentesi americana, con un viaggio di ricerca sull’agricoltura Usa, trascorso in gran parte nell’Iowa, a Muscatine (30 anni dopo tornerà a trovare la famiglia dei suoi ospiti, in occasione del suo primo viaggio ufficiale negli Usa come futuro leader supremo cinese). Nel 2007 per un breve periodo ricopre il ruolo di capo del Partito a Shanghai quando il suo predecessore, Chen Liangyu, rimane intrappolato in un clamoroso caso di corruzione. Alla fine di quell’anno entra nel Comitato permanente del Politburo, il vertice del potere, nel 2008 diventa vice presidente, incarico che lo mette in pole position per diventare il futuro primus inter pares della nomenclatura. Durante la sua prima uscita all’estero in questa veste, nel 2009 in Messico, suscita l’attenzione mondiale quando afferma che «gli stranieri con le pance piene non hanno di meglio da fare che criticare i nostri affari» e «Primo. La Cina non esporta la rivoluzione; secondo non esporta fame e povertà ; terzo, non fa la furba. Che altro c’è da dire?».
Poco si sa di quel che pensa riguardo alle questioni scottanti del paese e a come risolverle. Chi lo ha osservato afferma che gioca secondo le regole del partito e non ama rischiare. Mai ha mostrato alcuna propensione che potesse compromettere la sua carriera. In un cablo della diplomazia Usa che lo riguardava diffuso da Wikileaks viene descritto come pragmatico e ambizioso, sempre incline a farsi trasportare dal vento politico del momento pur di avanzare.
Secondo alcuni potrebbe avere una disposizione per le riforme (non è chiarissimo quali) ma gli analisti affermano che la sua avanzata si deve soprattutto al fatto che il suo pedigree lo ha reso una scelta di compromesso e di garanzia di status quo accettabile per Hu Jintao, Jiang Zemin e altri notabili.
Nel settembre scorso, una sua repentina scomparsa durata due settimane, ha lasciato tutti sconcertati anche perché nessun comunicato ufficiale è stato diffuso per spiegarne le ragioni. Un banale mal di schiena trasformato in mistero.
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