Cimici, Risse, Dispetti la Guerra (in Casa) tra 007 e «Federali»

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I federali, in quel momento, devono aver pensato al loro «papà », J. Edgar Hoover, l’uomo che ha guidato per decenni il Bureau accumulando dossier sui peccati di comuni cittadini e personalità . Diceva, scherzando, che in certe situazioni l’Fbi era impotente. Invece i federali, abiti scuri, capelli curati e fermacravatte d’ordinanza, facevano molto. E fanno molto. Poche porte resistono. Bussano, «Fbi, aprite». Altrimenti le buttano giù. Oppure infilano una «cimice» per sorvegliare una camera da letto o un computer. Frugavano nell’immondizia. Vera e umana. Non guardano in faccia a nessuno. Ed è quello che è accaduto con la coppia, bene assortita, David-Paula. Due ambiziosi, in perfetta sintonia fisica e mentale. Il fatto poi che il generale fosse diventato anche capo della Cia ha dato maggior gusto all’Fbi nello scavare, nell’indagare. Come dicono gli sbirri nel «mettere sotto» il bersaglio.
Gli 007 di Langley non sono stati mai amati dai loro colleghi del Bureau. Antipatia reciproca. Se fosse stato per Hoover la Cia non sarebbe mai nata. Bastavano i suoi metodi, le sue pressioni, la determinazione ferrea, le foto compromettenti e le voci raccolte da una rete mostruosa di informatori. Tutti nel mirino. Kgb, traditori, la moglie di Roosevelt, il clan Kennedy. C’è sempre un punto debole in una persona sconosciuta o famosa che sia. Un punto d’attacco, una fessura dove infilare il microfono. Con il passare del tempo la rivalità  Fbi-Cia si è consumata in dispetti, risse sulle fonti, indagini interne. Neppure il dramma dell’11 settembre 2001 ha messo le cose a posto. Il buco nella sorveglianza sfruttato dai 19 kamikaze avrebbero dovuto spingere a reagire, invece, per certi aspetti, le relazioni sono diventate contorte. La collaborazione è complicata, come lo sono i rapporti con le altre quattordici agenzie che si occupano di spionaggio. In passato i federali hanno ficcato il naso anche nella storia delle torture ai terroristi e nel rapimento dei qaedisti, le famose «rendition». Chiaro l’approccio. Noi agiamo secondo la Legge, con distintivo, diritti, mandati. Voi vi muovete infilandovi i cappucci neri sulla testa. Qualche frizione — sembra — anche per l’attacco di Bengasi, episodio che entra ed esce nella vicenda del generale. Con queste premesse non è stato un problema per gli agenti «lavorare» su Petraeus. Ma non perché fosse un target, hanno precisato, piuttosto «temevamo che venisse ricattato». Capisci David, lo abbiamo fatto per il tuo bene. Discorso ineccepibile. Se al posto di Paula ci fosse stata una talpa nemica?
I federali hanno messo tutto in un dossier che sarebbe piaciuto da morire a Hoover. Cresciuto dopo che hanno recuperato gli scambi della coppia all’epoca dell’Afghanistan. Dentro ci sono poi finiti i pettegolezzi che rimbalzavano da una riva all’altra del Potomac, il fiume che segna un confine tra i palazzi di Washington, compreso quello dell’Fbi, e il comando Cia in Virginia. La love story era un segreto di Pulcinella. «Come? Non lo sapevi?», dicono tutti adesso. E lo sapevano anche i federali che danno però un’altra versione: «Siamo inciampati nella storia indagando su un caso di minacce». Quelle di Paula contro la presunta rivale. Affermazione neutrale, in omaggio al precetto di J. Edgar Hoover: «L’Fbi raccoglie solo fatti. Non assolviamo nessuno. Non condanniamo nessuno», era il motto di J. Edgar Hoover. E lo affermava con la convinzione di chi pensava di essere lo scudo dell’America.


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