Da George Washington ai segreti dei Kennedy

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Forse esagera il maestro del noir James Ellroy nel dire che John F. Kennedy, immune — in vita — dagli scandali nonostante il catalogo dongiovannesco di amanti, «era Bill Clinton senza l’invadenza dei media e qualche rotolo di ciccia». Perché la Storia americana dice che il primo scandalo politico provocato da un adulterio risale ai tempi del primo presidente, George Washington. Il cui segretario al Tesoro Alexander Hamilton, sposato, finì ricattato per anni dal marito della giovane amante, un piccolo truffatore. Invece di sfidarlo a duello come si faceva tra gentiluomini a quei tempi, il marito tradito preferì prima spillare denaro a Hamilton (che acconsentì) e poi chiedergli aiuto per i suoi guai con la giustizia (disse no).
Il caso di questi giorni, quello del generale Petraeus, è comunque sui generis — era capo della Cia, non un politico come gli altri: il semplice sospetto d’un ricatto causa adulterio avrebbe sospeso la sua «security clearance», il permesso a visionare materiali top secret, rendendogli impossibile svolgere il suo lavoro fino al termine dell’inchiesta. Ma è un fatto che la Storia americana è una storia — anche — di politici mariti infedeli, spesso con smascheramento post mortem: vedi il recente rifiuto della fondazione che gestisce l’eredità  di George Washington a fornire un campione del Dna del padre della Patria al discendente della sua schiava preferita (che avrebbe partorito l’unico figlio del presidente). Dna che invece indica in Thomas Jefferson non soltanto uno dei padri fondatori della Repubblica ma anche il padre dei sei figli della sua schiava preferita.
Nell’Ottocento James Buchanan, tuttora l’unico presidente scapolo, venne a lungo accusato d’essere gay. Quando erano entrambi deputati, Buchanan e William King (tuttora l’unico vicepresidente scapolo) condivisero per 15 anni una casa. Un collega li chiamava «Buchanan e sua moglie», il presidente Jackson aveva soprannominato King «Miss Nancy». A fine secolo il presidente Cleveland veniva insultato dalle folle a causa d’un figlio illegittimo, e il Novecento ha visto le accuse di adulterio toccare presidenti come Warren Harding (1921-1923) mentre se oggi sulla fedeltà  di Franklin Roosevelt e Dwight Eisenhower gli storici nutrono dubbi più o meno documentati, i due non furono mai macchiati, in vita, da scandali per infedeltà . Scandali che, invece, a partire dall’incidente d’auto (1969) che costò a una giovane assistente di Ted Kennedy la vita e al fratello senatore di JFK molto probabilmente la presidenza, hanno attecchito in un ambiente mediatico molto diverso da quello dei decenni — e dei secoli — precedenti. Dalla candidatura alla Casa Bianca del democratico Gary Hart (1987) affondata in crociera con la bella Donna Rice alle registrazioni della cantante da piano bar Gennifer Flowers con l’allora governatore Bill Clinton (1992) che quasi ne bruciarono la campagna presidenziale (immortalata poi nel film Primary Colors: John Travolta e Emma Thompson nei panni dei Clinton). Fu eletto, ma poi messo sulla graticola prima da Paula Jones (per molestie) poi da Monica Lewinsky con tanto di impeachment alla Camera e processo al Senato (fu assolto ed è buffo ricordare come i suoi più scatenati accusatori repubblicani Henry Hyde, Newt Gingrich, Bob Livingston e Bob Barr fossero tutti e quattro adulteri). Ecco poi in questo millennio il deputato repubblicano Foley che mandava email a sfondo sessuale ai paggi (minorenni) della Camera, il senatore repubblicano Craig che faceva «piedino» in cerca di compagnia nella toilette degli uomini all’aeroporto, John Edwards senatore democratico (e candidato vicepresidente nel ticket 2004) che ha appena rischiato il carcere per le bugie su un adulterio (con bonus di figlia illegittima), gli infelici autoscatti via smartphone del deputato Weiner (nome altrettanto infelice: significa «salsiccia», per la gioia dei tabloid). E ora Petraeus, amante dell’autrice della sua biografia dal titolo «All In», «Completamente dentro», sulla quale già  sghignazzano i comici tv e i burloni di Twitter.
Tra tanto fango e tante risate, che ora travolgono pure la Cia, si rimpiange la dignità  di George Smiley. Il personaggio di John le Carré interpretato tanti anni fa da Sir Alec Guinness, e l’anno scorso da Gary Oldman nel film La Talpa: la spia britannica che, tradita contemporaneamente dal suo Paese e dalla moglie, continua a amare e rispettare entrambi.


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