DALLA BASTIGLIA A MARINE LE PEN

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La Francia è uno dei paesi prediletti dalla protesta, grazie alla tradizione rivoluzionaria iniziata nel 1789 e al rapporto ambivalente che si è stabilito tra lo Stato e i francesi. Da una parte, il primo assicura la modernizzazione della società  e la protezione dei secondi. Dall’altra, in mancanza di potenti organizzazioni intermediarie, lo Stato diviene spesso l’oggetto delle recriminazioni dei cittadini, delle loro critiche e della loro rabbia, che alimentano le manifestazioni di piazza o le rivolte, nonché il voto di protesta.
Perché la contestazione prenda la via delle urne, ci vogliono dei partiti e dei leader che sappiano cavalcare il malcontento sociale e l’insoddisfazione politica di una parte più o meno grande dell’opinione pubblica. I cosiddetti partiti di protesta, spesso populisti, non hanno alcuna possibilità  di governare: si pongono in opposizione irriducibile al “sistema”, questa parola magica che designa l’insieme eternamente fustigato delle istituzioni e dei partiti di governo, sospettati di servire gli interessi delle élite o dell’“establishment”, appellandosi al popolo o ad alcune sue componenti e proponendo delle soluzioni rapide e semplicistiche alle questioni più complesse.
Il voto di protesta ha caratterizzato la breve storia della Quarta Repubblica (1946-1958), favorito dal sistema elettorale proporzionale. Con i comunisti, che raccoglievano un elettore su quattro, e i gaullisti. Avversari reciproci, convergevano per sfruttare il malessere sociale e denunciare le continue crisi di governo, il moltiplicarsi degli scandali di corruzione e l’incapacità  delle autorità  di gestire il processo di decolonizzazione. Nel 1956, i qualunquisti francesi, detti “poujadistes”, dal nome di Pierre Poujade, difensore dei piccoli commercianti e degli artigiani in via di scomparsa, ottennero l’11,6% dei suffragi, dimostrando così l’ampiezza della crisi della politica francese.
La crisi sembrò risolta con la Quinta Repubblica e un sistema elettorale maggioritario uninominale a doppio turno per la designazione dei deputati. Queste riforme hanno semplificato l’offerta politica, ma la protesta non è cessata. Soprattutto dopo una trentina d’anni con le difficoltà  economiche, l’accentuarsi delle ineguaglianze sociali e le tensioni identitarie. Lo testimonia il successo dell’estrema destra e dell’estrema sinistra. Il Front National ha sviluppato temi molto sentiti negli strati popolari come quelli della sicurezza, della lotta contro l’immigrazione e della paura dell’Islam. L’estrema sinistra ha denunciato la fine del modello sociale. Insieme, con argomenti diversi, hanno mirato entrambi contro obiettivi comuni: gli altri partiti, le classi dirigenti e l’Europa. Quest’anno, Marine Le Pen, dirigente del Front National e Jean-Luc Mélenchon, leader del Front de Gauche, hanno raccolto il 29% dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali. Con altri piccoli candidati paragonabili, la protesta ha sfiorato il 36% dei suffragi.
Il voto di protesta ha due aspetti strettamente connessi. Un rigetto viscerale della politica in base al quale tutti i politici sono identici e corrotti. Una sincera aspirazione al rinnovamento della politica. È una responsabilità  delle istituzioni esistenti dare delle risposte a questo grido di dolore che alimenta la protesta, adattarsi e ridare un senso alla politica. Altrimenti, rischiano di essere travolte dall’ondata della contestazione.
traduzione di Luis E. Moriones


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