Di nuovo in piazza contro «il Faraone» La primavera egiziana tradita da Morsi

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La battaglia per Tahrir (e per l’Egitto) è ricominciata: la piazza contro il potere, come ai tempi gloriosi della Rivoluzione contro Mubarak, come in quelli più cupi dei Generali. Lacrimogeni e molotov, lacrime e sangue. Ma oggi il «nemico» è il raìs eletto democraticamente in giugno, l’islamico Mohammed Morsi, e la Fratellanza musulmana da cui emana. Ieri, primo giorno dell’assunzione dei pieni poteri del presidente, il Paese ha mostrato di essere ancora spaccato. Dimenticata per il momento Gaza, ai pochi che da quattro giorni avevano alzato uno striscione su Tahrir con scritto «vietato l’ingresso ai Fratelli» (musulmani), si sono aggiunti migliaia di oppositori. Indignati, furiosi per quel decreto con cui la sera prima, ancora fresco del successo nella mediazione tra Hamas e Israele e delle lodi della Clinton, di Obama e del mondo, Morsi rendeva «inappellabile» ogni sua decisione anche retroattiva. Si attribuiva «il potere esclusivo» di decidere misure per «difendere l’unità  nazionale». Assumeva su di sé, de facto, il potere giuridico oltre a quelli esecutivo e legislativo (il Parlamento è dissolto). «Resto con il popolo sul cammino verso la democrazia, la libertà , la giustizia sociale», ha dichiarato ieri ai fan nella piazza di Abdin dove Mubarak parlava alle masse. Quel decreto era necessario per fermare i «nemici della Rivoluzione, di cui sono il guardiano fedele». Ma poco distante il centro città  era in fiamme. «Morsi come Mubarak», «vattene dittatore», urlavano i manifestanti mentre altri si scontravano con la polizia nelle vie Mohammed Mahmoud, Qasr el Nil, lungo il Nilo. Un liceo assaltato e bruciato al Cairo, le sedi della Fratellanza a Suez, Ismailiya, Port Said e Alessandria date alle fiamme. Ovunque feriti.
Ad alzare la testa sono i «laici», che alle elezioni avevano votato l’ex capo della Lega Araba Amr Mussa, il nasseriano Hamdeen Sabahi, l’islamico moderato Abdel Munim Abul Futuh. O che avrebbero scelto Mohammed ElBaradei, l’ex capo dell’agenzia Onu per il nucleare che non si era però presentato. Personalità  che già  giovedì, dopo l’«editto» di Morsi, avevano attaccato duramente la svolta autocratica, conferma dei timori nutriti verso la Fratellanza. Sono i cristiani, tra i più spaventati dalla «ikhwanizzazione» dell’Egitto, termine usato per indicare come gli Ikhwà n, i Fratelli, stiano imponendosi ovunque. Ma sono pure i molti che «tappandosi il naso» avevano votato Morsi nel ballottaggio contro Ahmed Shafiq, uomo di Mubarak. «È l’inizio di una nuova dittatura», ha detto ieri Ahmed Maher, capo del 6 Aprile, principale movimento della piazza fisica e virtuale, che aveva appoggiato il Fratello «pur non dandogli carta bianca». Un altro che aveva dato fiducia a Morsi, il suo consulente cristiano Samir Morcos, ieri si è dimesso, seguito dalla scrittrice Sakina Fouad. E l’Europa, che pur aveva «accettato» Morsi, ha avuto parole dure per bocca del capo della diplomazia Catherine Ashton. Più cauta l’America, due giorni dopo le grandi lodi per Gaza: «Il decreto di giovedì ha destato timori, la Costituzione è un imperativo», ha detto un portavoce dell’Amministrazione.
In realtà  anche in Egitto c’è chi, tra molti dubbi, aspetta. Perché in teoria i poteri assoluti di Morsi sono tali fino alla nuova Costituzione attesa per l’inizio del 2013. «In quel decreto ci sono anche cose positive, come la riapertura dei processi per i morti della Rivoluzione e il licenziamento del procuratore generale vicino a Mubarak — si legge sul blog laico Arabist —. I nemici della transizione democratica restano forti, forse Morsi la vuole proteggere. Ma chi ci garantisce? Non certo l’opposizione, in piazza ma come sempre, purtroppo, divisa. Speriamo solo che Morsi sia un nuovo Cincinnato».
Cecilia Zecchinelli


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