E ora la riforma rischia di saltare “Vogliono farci fare la fine di Atene”

by Sergio Segio | 10 Novembre 2012 9:01

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ROMA — «Altro che Monti-bis, questi ci portano dritti in Grecia, a piazza Syntagma». Nei colloqui di Bersani con i suoi collaboratori, parlando della trattativa sulla legge elettorale, si evoca apertamente il caos ellenico, gli scontri, gli scioperi generali, l’ingovernabilità  assoluta, «la marmellata da cui possono venire solo pasticci mostruosi» e non la grande coalizione sognata dai supporter del raddoppio del Professore. Sono anche parole di rabbia quelle che circolano nella sede del Partito democratico. «Stavolta facciamo sul serio. Siccome i sondaggi non sono favorevoli, qualche partito cerca di strappare il pareggio. Ma da un risultato confuso non nascerà  un esecutivo Monti, l’unica prospettiva è la palude». La rottura, al momento, è totale. «Pdl e compagnia varia» è la formula usata per definire la maggioranza che ha approvato il tetto del 42,5 per cento oltre il quale scatta il premio. «Stracciano accordi, ci pensano e ci ripensano ». No, nessun contatto. Telefoni muti.
Non basta l’attenzione “smisurata” di Giorgio Napolitano sulla riforma a calmare gli animi. Il presidente della Repubblica ha spiegato ai leader dei partiti che lui, a tutti i costi, «vuole chiudere il settennato cambiando una legge che è la causa principale dei mali della politica». Ma i toni quasi grillini del segretario del Pd non lasciano spazio a interpretazioni: anche i richiami del Quirinale risultano vani davanti allo scempio compiuto al Senato. «Non siamo diventati 5 stelle, ma non vogliamo farci prendere per il sedere».
Il comico e il guru Gianroberto Casaleggio tifano per il Porcellum che consentirebbe di nominare, “al coperto”, deputati e senatori e di scommettere sulla vittoria con la maggioranza assoluta. Non è la posizione del Pd. Che ha fatto «un’ulteriore gesto di responsabilità », dice l’ambasciatore di Bersani Maurizio Migliavacca, accettando l’ipotesi del professor D’Alimonte: premio di maggioranza per la coalizione sopra al 40 per cento e premietto per il primo partito del 10 per cento. Ma questa è la linea del Piave. Dopo di che c’è solo lo scontro totale.
C’è una trattativa su questa mediazione? Al momento assolutamente no. Il telefono di Migliavacca non squilla e non chiama. È toccato a Lorenzo Cesa, il plenipotenziario dell’Udc, fare un passo con il Pdl, o quel che ne resta. Il segretario centrista ha chiamato ieri Denis Verdini e Gaetano Quagliariello proponendo il testo D’Alimonte. Risposta?
Negativa. Il 40 va bene, ma per il primo partito si può arrivare al massimo a un bonus del 6-7 per cento. Certo, non è il momento migliore per dialogare con un centrodestra “suonato” dal conflitto tra Berlusconi e Alfano. A queste condizioni comunque il Pd chiude il dialogo e prepara la battaglia Con il 10 per cento di premio al primo partito, i democratici, in testa nei sondaggi, potrebbero raggiungere l’obiettivo della guida del governo. Diventerebbero il perno forte di qualsiasi maggioranza, anche decisa il giorno dopo il voto. E guadagnerebbero tra i 50 e i 60 deputati in più rispetto al loro consenso. Numeri che fanno gola. Verrebbe meno però il mantra
Pd di un governo e di un premier che risultano subito chiari alla chiusura delle urne. Per avere questo risultato il Porcellum è il massimo, inutile cambiarlo, «basta dirlo», avvertono nel quartier generale di Pier Ferdinando Casini facendo capire che le relazioni diplomatiche progressisti-moderati sono interrotte. Il leader dell’Udc si sta convincendo che il vero orizzonte di Bersani sia lasciare la legge attuale modificando solo il sistema di assegnazione dei seggi: 50 per cento con le preferenze e 50 con le liste bloccate.
Napolitano sa di poter contare sulla sponda (e sul peso) di Massimo D’Alema. Il presidente del Copasir è da sempre un fan del sistema tedesco e, con grande chiarezza, ha dichiarato che i governi «devono nascere in Parlamento ». Al traguardo agognato dal Colle lavorano anche Enrico Letta e i suoi fedelissimi. «Ma non accettiamo soluzioni diverse dalla proposta D’Alimonte », dice Francesco Boccia. Il Pd non ha l’arma della crisi di governo. «La legge di stabilità  va approvata. Poi, però, fine del dialogo», ammonisce Boccia. Ma la legislatura va comunque verso il capolinea, quindi le minacce servono a ben poco. Bisogna uscirne in un altro modo.
I toni di Bersani puntano anche a modificare le posizioni di partenza degli altri partiti. Ma con Casini il freddo rimane. E la confusione totale nel Pdl non aiuta una trattativa tanto delicata. Secondo Cesa, che segue dall’inizio l’iter della riforma, stavolta è vero, «manca una settimana, poco più, per decidere. Il tempo è praticamente scaduto ». I sondaggi di Grillo galoppano, il Pd si sente stretto nella morsa di un’asse che ricalca la Casa delle libertà  nel Palazzo e il vento dell’antipolitica che soffia fuori. Ormai si fanno spazio più i sospetti reciproci che la volontà  di intesa. Intorno all’eventualità  del Monti-bis si consuma un duello dentro la «strana maggioranza » che alla fine può salvare il Porcellum. Se è così, dopo il fallimento, le accuse reciproche lasceranno altre macerie.

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