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La maggior parte, il 97,5 per cento, è salata, mentre quel che rimane va cercato sotto terra. Trovarla è stato più facile che scoprire gli antibiotici, forse persino troppo, visto che con la popolazione mondiale avviata a toccare i nove miliardi di persone nel 2050 questa riserva è in via di rapido esaurimento. Per garantire all’umanità  i suoi crescenti consumi occorre quindi fare nuovamente i conti con quello che ha il sapore di un capriccio divino. Oltre a mari, laghi, fiumi e falde, sulla Terra siamo pieni di acqua, ma è nascosta nell’aria. Per accorgersene non serve essere dei Fleming: il vero problema è riuscire a tirarla fuori dall’atmosfera.
«Seguo da tempo i progetti su questa materia, ma negli ultimi anni l’interesse e le soluzioni si sono moltiplicate», dice Francesco Vaccari, ricercatore dell’Istituto di biometeorologia del Cnr. Sparsi nell’atmosfera terrestre ci sono qualcosa come tredicimila chilometri cubi d’acqua. Un metro cubo di aria con temperatura di 30 gradi e umidità  relativa del 50 per cento ne contiene circa 14 grammi. Una sorgente diffusa sopra le nostre teste che grazie a un ampio ventaglio di soluzioni stiamo imparando a “imbottigliare”.
L’ultimo prodotto realizzato allo scopo è una speciale turbina eolica che nelle promesse dell’azienda francese Eole Water può produrre fino a 1500 litri di acqua al giorno. «L’idea di base è elementare — spiega Giacomo Arsuffi dell’Enea — si sfrutta lo stesso fenomeno che provoca l’appannamento dei parabrezza dell’auto: il vapore presente nell’aria umida posto a contatto con una parete più fredda condensa, producendo acqua. In questo caso una frazione dell’aria che investe il generatore eolico è trascinata all’interno del dispositivo dove, attraversando un condensatore la cui superficie è mantenuta a bassa temperatura da un sistema di refrigerazione alimentato dal generatore eolico stesso, viene raffreddata fino al punto di rugiada ».
Quella annunciata da Eole Water non è una novità  assoluta. Sul mercato esiste già  un prodotto simile realizzato dalla olandese Dutch Rainmaker. «Lo stiamo già  commercializzando e abbiamo contatti ben avviati con diversi paesi», spiega Andre Schoute. «Possiamo fornire acqua potabile al prezzo di 7 euro al metro cubo, più o meno quanto costa portarla imbottigliata. Siamo convinti però di poter scendere a 2,2 euro nel giro di 24 mesi». Proprio come le pale di Eole Water, anche il Dutch Rainmaker per funzionare al meglio ha bisogno di stare in un posto caldo vicino al mare. «Le isole del Mediterraneo, compresa la Sicilia, dove spesso si porta l’ac-
qua con le navi cisterna, secondo noi sono estremamente adatte: penso a utenze come i villaggi turistici o piccole comunità  isolate », precisa Schoute. Vaccari è però scettico. «Questi sistemi», ricorda, «riescono a produrre mediamente circa 500 litri di acqua al giorno. Il consumo giornaliero pro capite per un italiano è di circa 185 litri di acqua, quindi un sistema che condensi l’acqua come quello proposto, che costa circa 800mila euro, potrebbe mantenere circa tre italiani al giorno. È un grande salto avanti tecnologico, ma va bene per popolazioni con meno alternative e meno “sprecone” di noi».
Soprattutto in Occidente per evitare la crisi idrica la strada maestra resta insomma migliorare l’efficienza con cui usiamo l’acqua, ridurre gli sprechi, mettere in sicurezza le infrastrutture colabrodo e modificare stili di vita insostenibili. Ma ciò non toglie che in futuro i progressi della tecnologia possano aprire nuove possibilità  e speranze. Il Cnr ha deciso quindi di iniziare i suoi test con un prodotto decisamente più a buon mercato. «Con circa mille euro abbiamo acquistato un centinaio di WaterBoxxes
», spiega Vaccari. In questo caso l’obiettivo non è il rifornimento di acqua potabile, ma la coltivazione in territori siccitosi. Si tratta di speciali vasi high-tech che una volta interrati insieme alla pianta intrappolano acqua e umidità , rilasciandola solo poco alla volta, permettendo la sopravvivenza anche in lunghi periodi senza precipitazioni. «Per apprezzarne l’utilità  non occorre una zona desertica», sottolinea Vaccari, «andrebbero benissimo anche per risparmiare risorse idriche nella cura del verde pubblico delle nostre città ». A differenza delle serre ad acqua marina inventate dall’inglese Charlie Paton, che prelevano acqua di mare e la utilizzano per produrre vapore a sua volta trasformato in acqua usata per le coltivazioni, le WaterBoxxes hanno un costo relativamente accessibile e stanno iniziando a diffondersi in diversi paesi poveri. Le prime Seewater Greenhouse sono in via di sperimentazione invece solo in paesi dai budget ricchi come l’Australia, le Canarie e gli emirati del Golfo Perisco.
Al di là  del prezzo, tutte queste tecnologie hanno comunque un elemento in comune: riprendono vecchie intuizioni dell’antichissima saggezza contadina. Nel sud del Mediterraneo è sempre stata sfruttata la formazione di acqua per condensazione mettendo pietre scure alla base delle piante di vite. In Nepal e Sri Lanka, con una procedura che ricorda le WaterBoxxes, si interrano dei vasi di terracotta. E si richiama a un’usanza popolare anche la più avveniristica ed elegante tra le soluzioni allo studio in questi giorni, la Fog Tower.
Proprio come gli abitanti dei siccitosi sobborghi di Lima catturano con delle reti la nebbia che arriva dall’oceano, allo stesso modo questa gigantesca torre a forma di punta di trapano piazzata nel deserto di Atacama promette di trasformare ogni giorno in migliaia di litri di acqua il vapore che resta intrappolato nel suo rivestimento di tela.


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