FOTOFINISH A STELLE E STRISCE

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MA IL presidente ha accumulato un vantaggio importante nel decisivo Ohio. Ma le proiezioni e i voti reali raccontano la storia prevista e amarissima di un’America scavata dal fossato di un’incertezza e di un’animosità  rancorosa che non sa produrre un vincitore sicuro. E non potrà  proclamarlo fino alla mattina avanzata in Europa.
Sappiamo che la campagna intrisa di odio personale, diretto, per l’uomo, più che per le sue politiche, ha prodotto il rifiuto del Sud, ancora prigioniero di un passato che neppure i progressi economici, lo sviluppo urbano, sono riusciti a cancellare. Che il Nord Est è Democratico, ed etnicamente integrato, come lo era 150 anni or sono, negli anni della Guerra Civile, quando gli schiavi fuggivano verso il settentrione, per tornare a sentirsi esseri umani.
Ma il voto dei giovani ha tenuto, per Obama, è cresciuto quello della minoranza ormai più importante degli Usa, i «latinos» cresciuti addirittura nella preferenza per il Presidente, che gli anziani «over 65» restano tecnicamente repubblicani e Obama ha conservato il proprio margine con le donne. Ma le differenze tradotte nei voti sono rimaste in pochi migliaia, a volte centinaia, divise dentro una nazione divisa, campagna contro città , paesi contro metropoli, soprattutto in quell’Ohio che, nonostante il vantaggio di Obama, rischia di non avere un vincitore per molti giorni, per riconteggi e verifiche, nel tragico stile della Florida 2000, che anche questa volta rimarrà  sospesa per giorni alle ultime schede.
Gli ultimi sondaggi, come sempre accade nelle ore finali, si erano consolidati, riducendo quelle forbici di vantaggi e svantaggi che avevano oscillato soprattutto dopo il disastroso dibattito televisivo di Denver ed avevano piegato tutti in lieve, ma stabilire favore del presidente, comunque sempre all’interno del margine di reversibilità  e di errore.
Le interviste a coloro che avevano votato in anticipo — come la legge consente in molti stato — nell’Ohio divenuto il perno di questa elezioni (nessun repubblicano ha mai vinto, perdendo in Ohio) dicono che Obama ha un notevole vantaggio su Romney, ma questo era previsto. nelle grandi città  e nelle contee industriali sui Grandi Laghi, Cincinnati, Cleveland, Akron, dove si va alle urne per tempo. I soldi di Las Vegas, gli speculatori che comprano e vendono “azioni” sulla probabilità  di
vari eventi nel sito di Intrade, si sono spostati su Obama, ma anche gi scommettitori più prudenti, perdono. Ma è innegabile che per tutta la giornata, la sensazione di una vittoria di Obama si era andata fatta più tangibile, senza concretizzarsi nella prima ondata di voti veri..
Se la corsa è tanto serrata, nelle ore ore mattino, come non era più stata da Kennedy contro Nixon e Bush contro Gore, era stato perché Obama aveva ritrovato il «fuoco nella pancia», la passione, la voglia e la voce, fino a perderla.
L’uomo che in giaccone con le insegne della presidenza sul petto, «The Great Seal», il grande sigillo del potere, ha battuto sei stati, dodici palestre e palazzetti e attraversato cinque mila miglia svolazzando avanti e indietro in 24 ore aveva buttato via il guscio della freddezza, del distacco, dell’arroganza nel quali lui, o i suoi consiglieri si erano rinchiusi, ed è tornato a volare.
Aveva gridato fino alla raucedine da sforzo. Aveva usato parole brutali, forti, motivanti, come «vendetta», sì, la «nostra migliore vendetta è il voto», facendo capire quanto doveva avere sofferto subendo gli insulti razziali, le insinuazioni, le allusioni in codice che l’avversario, e soprattutto i paladini di Romney, gli avevano sparato contro.
Ha posto la domanda che fin dal primo giorno avrebbe dovuto urlare e ripetere: «Perché dobbiamo tornare indietro alle politiche che ci hanno portato al disastro quattro anni or sono? Come può la formula che è fallita per otto anni improvvisamente funzionare oggi? ». E ha pianto. Finalmente, Obama “the man”, l’uomo che ha sconfitto la propria vita di bambino abbandonato dal padre kenyano appena nato, di figlio di una donna single e vagabonda, di adolescente sbattuto come una pallina da flipper tra il Kansas, l’Indonesia, la Hawaii per arrivare alla massimo poltrona della democrazia americana, era quello che il suo pubblico si aspettava.
L’Obama ritrovato è servito a riportare non soltanto molti dei suoi elettori cosiddetti «di sinistra», naturalmente delusi come sempre e ovunque tutti gli elettori «di sinistra » dalla scoperta dell’oceano fra le ideologie e la realtà . E’ riuscito a riportare le memoria collettiva a quei giorni terrificanti del novembre 2008, al tempo delle cassandre e degli sciacalli che si aggiravano attorno alla carcassa di un’America nella quale milioni di cittadini di mezza età  vedevano le proprie pensioni affidate a Wall Street sciogliersi nei liquami tossici della speculazione e la famiglie andavano a letto alla sera senza sapere se il mattino dopo le banche sarebbero state aperte e in grado di coprire gli assegni. Rispetto a quell’America nel panico, alla città  dei naufraghi cacciati dagli uffici con la loro vita dentro una scatola di cartone, di General Motors e Chrysler in bancarotta, di cinque milioni di disoccupati in più in soli sei mesi, di valori immobiliari al collasso, la nazione che oggi Obama ha portato al voto non è una fanciulla in fiore, ma una persona adulta tornata a camminare. «Obama ha ridato stabilità  all’America», ha detto l’ex generale e Segretario di Stato Colin Powell toccando il tasto giusto. Non prospera, non fiorente, ma «stabile».
Ma ancora non sappiamo se l’Obama Ritrovato, anche sulla spinta tragica dell’uragano Sandy, sia stato sufficiente per fermare la marea dell’odio che gli avversari hanno sollevato contro di lui, contro l’usurpatore del tempio bianco a Washington, contro lo schiavo troppo ambizioso. I burocrati repubblicani che controllano la macchina elettorale in stati come l’Ohio, il Colorado, la Florida hanno sicuramente tentavano i soliti trucchi per limitare l’afflusso alle urne del «nemico», gli stessi già  usati con successo nella Florida 2000 dal governatore Jeb Bush per dare una mano al fratellino, ma sono gli stessi «sporchi trucchi » che in passato usati anche i democratici hanno utilizzato, dove e quando erano loro a controllare le leve. Chi sarà  il prossimo presidente americano, il 45esimo, non si può ancora annunciare. Ma sarà  l’erede
di una nazione avvelenata.


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