Guerra tra spie, ecco le accuse di Petraeus
NEW YORK — Chi ha cancellato la voce “Al Qaeda” nel rapporto che l’ex capo della Cia David Petraeus aveva preparato sull’assalto a Bengasi? Che ci faceva la sua amica Jill Kelley alla Casa Bianca? E che legami con l’Fbi aveva la sua amante (e aspirante agente) Paula Broadwell? Non solo sesso & party: anzi. Sotto la patina glamour il PetraeusGate nasconde un verminaio e i vermi pian pianino rischiano di arrivare fino a Barack Obama. Per i repubblicani, naturalmente, sarebbero già arrivati. Petraeus ha testimoniato al Congresso a porte chiuse sul tragico 11 settembre a Bengasi, ma il parlamentare di destra Peter King accusa: l’ex generale ha detto che la Cia da subito parlò di attacco legato ad Al Qaeda «ma il riferimento è stato tolto da qualcuno al di fuori dell’intelligence: e noi dobbiamo scoprire chi e perché». Al perché l’opposizione avrebbe già una risposta: la Casa Bianca ha mentito su Bengasi dando la colpa al film anti Islam, sotto elezioni il presidente sbandierava l’uccisione di Bin Laden e rilanciare la paura dei suoi gaglioffi faceva cattiva pubblicità . La malapensata serve naturalmente anche ad affossare la prossima mossa di Barack, la nomina di Susan Rice al posto di Hillary Clinton: l’attuale ambasciatrice all’Onu mentì andando in tv a raccontare la balla del film, non può fare il prossimo segretario di Stato.
Sì, il verminaio s’è aperto già . Con il piccolo aiuto proprio di Petraeus. L’ex generalissimo si toglie tutti i sassolini dagli scarponi. Confermando appunto che la sua relazione accusava Ansar al-Shariah e i gruppi di Al Qaeda del Maghreb: ma che la revisione dei documenti «insieme agli altri rappresentanti dell’intelligence» portò alla sostituzione dei nomi col più generico «estremisti». Così in un colpo solo rimette nei guai Obama (anche se fa capire che l’Amministrazione utilizzò la bozza pubblica e non secretata della relazione) e i suoi colleghi 007. Gli chiedono: ma tutta questa storia ha a che fare con le sue dimissioni? «No». E la vicenda Paula?
«Mi dispiace del mio comportamento ».
Così i dubbi su Bengasi restano: e in piedi resta tutto il PetraeusGate. Troppe coincidenze rilanciano altrettanti indizi. La sua amica Jill era così introdotta tra i generali che a lei si rivolse l’allora capo della base di Tampa, John Allen — il futuro comandante in Afghanistan che con lei scambierà email bollenti — per chiederle di fermare il dj della Florida che incitava, per scherzo, a bruciare il Corano. «Ti saluto il direttore » dice poi Jill al sindaco di Tampa riferendosi sempre a Petraeus: «Per me sarà un altro favoloso weekend a Washington». Favolose sono tutte le sue frequentazioni: passando da un party per il re di Giordania, una festa con Marco Rubio e le colazioni alla Casa Bianca, complice un funzionario di Barack conosciuto sempre nella base militare dell’amore.
Sarebbe rimasto tutto nascosto se Jill non avesse chiesto al suo amico dell’Fbi di difenderla dalle anonime email di minaccia: che porteranno a Paula e alla scoperta della relazione con Petraeus. «La verità emergerà » dice ora Jill nell’email al sindaco accusando «quella criminale che perseguitava tutti noi». L’ultimo colpo di scena riguarda proprio la biografa: aveva superato tutti gli esami per entrare nell’Fbi prima di puntare nella carriera ad Harvard. L’ennesima, incredibile
coincidenza?
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