Hamas attacca Gerusalemme due razzi sulla Città  Santa migliaia in fuga nei rifugi

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GERUSALEMME. STAVA scendendo la sera e si stavano accendendo le luci dei lampioni, quando il suono delle sirene dell’allarme ha iniziato a rincorrersi da un quartiere all’altro, rimbalzando sulle Mura della Città  Santa.
COGLIENDO così nelle strade semideserte gli ultimi ritardatari dello shabbat che stava per iniziare. È stato uno shock per tutti i gerosolimitani, chi era a casa ha subito acceso la tv, incredulo, per scoprire una certezza che le sirene già  avevano annunciato: Gerusalemme, la città  santa delle tre religioni, è sotto attacco. In ogni casa della città  c’è un rifugio anti-bomba ed è stata una corsa per le scale in centinaia, migliaia di palazzi e abitazioni per raggiungere lo “shelter”, giù nella cantina ingombra di bici, scatoloni e cianfrusaglie, perché nessuno a Gerusalemme pensava potesse mai accadere.
Il clima di guerra dal sud del Paese ha risalito rapidamente le colline che portano alla Città  Santa. Nemmeno Saddam Hussein, nella sua pazza isteria nella Prima Guerra del Golfo nel 1991, aveva osato sparare contro il terzo luogo santo dell’Islam, accontentandosi di colpire Tel Aviv con i suoi Scud. A rompere il tabù ci hanno pensato gli artiglieri di Hamas da Gaza, che ieri hanno puntato e sparato due dei loro missili iraniani “Fajr 5” contro Gerusalemme, che dista in linea d’aria quasi 75 chilometri, uno dei quali è arrivato in un campo deserto nei sobborghi della periferia sud, nei pressi dell’insediamento di Gush Etzion. «Era diretto alla Knesset», al Parlamento israeliano, dirà  più tardi un portavoce delle Brigate Ezzedine Al Qassam, il braccio armato di Hamas. Un attacco che segna una escalation dei miliziani di Gaza, sia per il suo simbolismo che per la sua distanza. A Gerusalemme tutti pensavano essere fuori del raggio d’azione dei missili sparati da Gaza. Abu Obeida, portavoce dell’ala militare di Hamas, lancia la sua minaccia: «Stiamo mandando un messaggio breve e semplice: non c’è nessuna sicurezza per gli israeliani e abbiamo in programma altre sorprese».
Al terzo giorno della “Seconda guerra di Gaza”, sembrano seppellite le speranze di una possibile tregua affidata alla mediazione dell’Egitto, anzi minaccia di espandersi. Nell’enclave palestinese le armi non hanno taciuto neppure durante le tre ore di visita del premier egiziano, Hisham Qandil. Accompagnato dal premier di Hamas Ismail Haniyeh ha visitato l’ospedale al-Shifa di Gaza, dove davanti al corpo senza vita di un bambino di quattro anni ucciso in un raid israeliano, ha pianto. «Quello che ho visto oggi nell’ospedale, i feriti e i martiri, sono cose su cui non possiamo tacere», ha detto ai microfoni di “Al Jazeera”, «l’Egitto farà  ogni sforzo possibile per fermare l’aggressione». Parole più ispirate alla solidarietà , del resto Hamas è una filiazione della Fratellanza musulmana che governa al Cairo, che al tentativo di mediare per una fine delle ostilità  prima che l’incendio di Gaza, si allarghi alla Cisgiordania e investa le già  difficili relazioni con l’Egitto del dopo-Mubarak. Il presidente Morsi, che ha definito l’attuale crisi «una aggressione contro l’umanità », vedrà  oggi al Cairo il premier turco Tayyp Erdogan, uno dei grandi protagonisti della regione che finora ha tenuto un profilo basso su questa crisi, mentre il segretario generale dell’Onu Ban ki-moon annuncia un viaggio a breve nella regione. Ma i tempi della diplomazia sono diversi da quelli delle operazioni sul campo.
Il cielo sopra Gaza è trafficato di caccia F-16, elicotteri da combattimento Apache, droni con le telecamere per scoprire le rampe mobili dei lanciatori. I raid sulla Striscia si susseguono a un ritmo impressionante, uno ogni cinque minuti. Hamas denuncia che Israele ha sparato 85 missili su Gaza in appena 45 minuti. Prese di mira basi sotterranee usate da militanti palestinesi per sparare razzi, colpito anche il ministero dell’Interno di Hamas. Si allunga la lista delle vittime palestinesi, 28 i morti finora, ma centinaia i feriti dalle schegge delle esplosioni, molti sono bambini. Ma nonostante questa campagna militare a tappeto anche ieri decine e decine di missili sono stati lanciati dai miliziani di Hamas e della Jihad islamica diretti contro Ashdod e Ashkelon le cittadine più vicine alla Striscia, ma anche Beersheva che è nel Negev, dove batterie “Iron Dome” hanno intercettato quelli diretti sulle zone abitate.
Anche ieri Tel Aviv è entrata nel mirino dei lanciatori dalla Striscia e due missili Fajr sono arrivati nei pressi della città  più popolosa d’Israele. Le sirene d’allarme hanno suonato per il secondo giorno, ma il missile è esploso in area periferica a sud della città . Come a Gerusalemme, il sindaco di Tel Aviv ha annunciato la prossima apertura dei rifugi collettivi. Non accadeva dal 1991, quando la città  fu colpita a più riprese da missili iracheni Scud. Solo pochi anni fa, i razzi palestinesi erano “grezzi”, dispositivi fabbricati dai carrozzieri di Gaza, come i “Qassam”. Ma negli ultimi anni, Hamas e altri gruppi armati hanno contrabbandato sofisticati missili a lungo raggio da Iran e Libia, specie dopo la caduta di Gheddafi lo scorso anno. E’ un’escalation difficile da fermare, il governo di Benjamin Netanyahu – che ha ricevuto la solidarietà  di tutta l’opposizione – è determinato ad andare avanti per fermare «la minaccia incombente di migliaia di missili puntati contro Israele». Il presidente Shimon Peres dice che «Israele non vuole andare in guerra» ma intanto ieri sera la tv israeliana ha annunciato il prossimo richiamo di altri 45 mila riservisti, che si vanno ad aggiungere ai 30 mila già  richiamati.
Mobilitazione che va a rafforzare l’ipotesi di una prossima campagna di terra contro Gaza. Tre anni dopo “l’operazione Piombo Fuso”, l’esercito israeliano è pronto a invadere nuovamente la Striscia. Truppe e carri armati israeliani sono schierati al confine e lasciano presupporre un possibile imminente attacco di terra dopo 3 giorni di raid aerei. Nel 2006 l’offensiva ‘Piombo fuso’ durò almeno una settimana prima che si decidesse per un’invasione via terra. Da allora Israele non ha mai smesso di addestrare le sue truppe e le dichiarazioni piuttosto decise di Netanyahu, su una «espansione » degli attacchi suggeriscono che l’escalation militare è già  stata decisa dal governo, da ieri sera sono state chiuse al traffico civile le principali arterie stradali che portano a sud verso Gaza, pronte per essere usate dai mezzi militari. E il comandante Eyal Eisenberg, ha avvertito le autorità  locali: «Preparatevi a sette settimane di battaglia».


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