Il cardinale che invitava a sognare

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Profezia e Patristica son due categorie che aiutano a capire Martini. In lui ricorre una sollecitazione continua: «Dobbiamo dare un’interpretazione del tempo in cui viviamo». Si faceva portavoce di un’epoca recente nella Chiesa e la rinverdiva. Leggere i «segni dei tempi» aveva costituito il grande appello venuto da Giovanni XXIII e dal Concilio. Dal Vaticano II e dal Papa Buono partì lo sprone a cogliere il disegno di Dio sulla storia, a recuperare l’aspetto profetico della Chiesa e dell’essere cristiani. «Quando incontri qualcuno non chiedergli da dove viene, ma dove va», ammoniva Roncalli per incoraggiare a cogliere il nuovo e la speranza, a vivere la fede con coraggio.

Martini, da giovane studioso, ha respirato l’aria, ha interiorizzato l’anelito di quella «nuova primavera». Da pastore s’è chiesto: perché mi si presenta questo problema concreto (un attentato terroristico, una fabbrica che chiude, un prete che intende lasciare l’abito, un politico che ruba, una coppia che vuole conciliare il proprio amore e la possibilità  di decidere quando aver figli e quanti, una donna abbandonata dal marito che s’è rifatta una vita affettiva e chiede i sacramenti) e la domanda è diventata: che cosa vuole dirmi il Signore mettendomi davanti a tali vicende, e come pensa che io possa essere testimone della speranza e della fiducia che ha posto in me. Da studioso, ha chiesto aiuto alla conoscenza della Parola per cercare anche lì, nel racconto dell’alleanza tra Dio e il popolo ebraico e nel Vangelo, risposte adeguate alle domande imposte dall’attualità .
La gente ha capito il nesso forte, inscindibile, sorgivo, tra fede e vita, lo ha sentito vero, autentico, genuino. Ha avvertito lontanissimo dal cardinale l’intento di chi punta a far prevalere una scelta dottrinale su un altra. È accorsa in Duomo perché ha colto che in Martini il cuore dell’uomo veniva prima della pur importante teologia. La misericordia e la comprensione, la capacità  di interrogarsi e di mettersi in discussione ispiravano l’approccio del cardinale, mai il giudizio o l’erigersi in cattedra di un’autorità  che sa e lo vuol mostrare.
Martini s’è fatto interprete della capacità  di schiudere orizzonti e liberare la mente che la profezia ha. Raggiunse l’apice nel 1996, col discorso di Sant’Ambrogio: «Alla fine del millennio lasciateci sognare». Spronò a «sognare in grande», a «saper guardare con mente aperta al futuro di Dio e dell’uomo», seguendo l’esempio di quel «grande interprete dei disegni di Dio per il suo tempo» che fu Ambrogio. Martini ammonì, col vigore d’un antico profeta: «Occorre il sostegno, in ogni impegno pubblico, di un sogno, un ideale, un progetto, un’utopia su cui misurare il presente e graduare gli interventi possibili senza lasciarsi soffocare dalle piccole urgenze quotidiane o fuorviare dai clamori o dalle blandizie dei petulanti di turno».
La gente è accorsa perché s’è riconosciuta in questa disposizione a sognare. Recuperare il senso di fatiche, sacrifici, privazioni, guardare in alto e oltre le angustie del quotidiano è ragione di vita. Solo un uomo ispirato può ingenerare fiducia, spes contra spem.
Tanto più vale oggi il messaggio, quando la politica cerca di riparare coi tecnici a minacciosi guasti, mentre una caricatura di essa o propizia gli affari di pochi o s’illude che l’antipolitica sia la panacea.
Martini si è mosso come un antico Padre della Chiesa. Esiste una biblioteca intera di suoi volumi che raccolgono omelie e commenti su brani di Antico e Nuovo Testamento, che dan testimonianza della sua arte di far parlare il testo: lettura della Parola, approfondimento di ogni lemma, esplorazione dei nessi letterali, interrogativi su come quella pagina può illuminare il presente: nostro, di chi ci sta vicino, del mondo. Alla maniera di Ambrogio, Origene, Basilio, Gregorio, Agostino e d’uno stuolo di Padri dei primi secoli Martini ha spezzato il pane della conoscenza biblica per chi già  era stato toccato dalla fede e ha incuriosito coloro che non credevano.
La gente si è portata e si porta dentro la lezione profetica e patristica di Martini: è stato un modo di porsi del cardinale al servizio della città  e ormai è patrimonio di essa. Un patrimonio coi suoi segni di contraddizione.
Martini è stato un uomo che ha diviso in vita, e lo si è visto anche in occasione della morte: per i tanti che sono accorsi a dargli l’ultimo saluto, molti si son spesi per criticarlo sino alla denigrazione. Qualcuno ne ha anche strumentalizzato la fine per scopi politici ricorrendo a falsità , come ha fatto chi ha scritto che il cardinale avrebbe «staccato le macchine che lo tenevano artificialmente in vita». Una menzogna: Martini non era attaccato a una macchina; è rimasto in vita assumendo farmaci sin che la vita corporale è rimasta in lui!
Non c’è da stupirsi di un panorama così lacerato: è una storia vecchia come l’uomo. Non se ne stupiva lo stesso Martini, da vivo. Preso dall’itinerarium crucis e ad esso votato («Non son venuto a portar pace, ma una spada», Mt. 10.34), aveva trovato conforto nella preghiera della liturgia ambrosiana, in cui i fedeli invocano da Dio il «dono» di pastori che «inquietino la falsa pace delle coscienze».


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