Il Professore e la fine della legislatura: se servisse resterei

by Sergio Segio | 11 Novembre 2012 7:53

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ROMA — «Se servisse, io continuerei». Così, il presidente del Consiglio, Mario Monti, al trimestrale francese Politique internationale, in un’ intervista — si apprende da Palazzo Chigi — effettuata nella seconda metà  di settembre, ma che risulta di grande attualità  proprio nel momento in cui al centro dello schieramento politico si stanno coagulando una serie di iniziative (da Todi 2 al Manifesto per la Terza Repubblica), che intendono costituire un autentico «retroterra politico» per il futuro impegno del premier. Monti ha spiegato al periodico d’Oltralpe che «la legislatura attuale termina nell’aprile 2013: come ho detto più volte, l’Italia deve ritrovare un processo democratico normale e non c’è nessuna ragione per cui il voto non debba dare una maggioranza in grado di governare». Ma poi ha aggiunto: «Nell’ipotesi in cui fosse impossibile costituire una tale maggioranza, io sarei là . Se servisse, io continuerei».
Una disponibilità  a proseguire auspicata da più parti. Ad esempio, ieri mattina il premier è intervenuto con un collegamento telefonico di un quarto d’ora all’iniziativa «La società  civile si incontra e si propone», organizzata dall’economista e senatore di Fli, Mario Baldassarri, con la partecipazione di trenta tra le più importanti sigle delle associazioni di cultura e impegno politico, sociale ed economico e del mondo della produzione e del lavoro (anche Confindustria, Cisl, e Cgil). E un po’ schermendosi, un po’ tenendosi su un terreno neutro, Monti si è rivolto a «chi mi succederà », augurandosi che segua la stessa strada percorsa in quest’anno «che è stata un’esperienza dura per chi governa e durissima per chi è stato governato»: cioè quella del rigore, della crescita e dell’equità  sociale. Parla retrospettivamente ma lascia capire che i rischi appena scongiurati possono sempre essere dietro l’angolo, perché gli sforzi fin qui fatti «valgono poco a chi per incidenti uscisse dalla Ue». Quando a queste parole il direttore del Tempo, Mario Sechi, che moderava la tavola rotonda, ha reagito con un «Noi auspichiamo che sia lei a essere il successore di se stesso», la sala del Tempio di Adriano è scoppiata in un applauso.
In ogni caso il presidente del Consiglio ha invitato tutti a pensare «più ai contenuti che alla leadership e agli organigrammi», sostenendo che di fronte alla crisi c’è stato «uno sforzo collettivo di cui non riesco a ricordare molti precedenti nell’Italia repubblicana». Perché anche in questo pesante periodo c’è stata un’esperienza positiva: «Non è impossibile cercare di dire la verità  agli italiani ed è possibile che la capiscano». Essi preferiscono infatti un’operazione di verità  «anziché essere partecipi di un grande processo collettivo di elusione dei problemi».
Parlando dell’azione del suo governo Monti ha spiegato di aver dato maggiore priorità  al rigore, ma di avere anche «introdotto elementi di equità  sociale che hanno disturbato alcuni segmenti della società  civile». In particolare ha fatto riferimento «all’intensificata lotta all’evasione fiscale a volte condotta con una certa durezza». «Spero di aver contribuito a rendere gli italiani meno tolleranti rispetto a nepotismo, corruzione, e evasione fiscale», pratiche «indegne di un Paese sviluppato membro del G7».
«Bisogna guardarsi dai ritorni indietro», ha avvertito infine il premier, indicando la strada di maggiore concorrenza e liberalizzazione.

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