Il pugno di Putin

by Sergio Segio | 28 Novembre 2012 7:37

Loading

MOSCA. Difficile che Maria, rinchiusa in una cella buia di due metri quadrati alle pendici degli Urali, ne sappia qualcosa. Da sette mesi non le fanno neanche vedere il figlio di cinque anni né le permettono altre visite. Figurarsi se qualcuno si prenderà  mai la briga di comunicarle che la rivista Time ha candidato lei e tutte le Pussy Riot al ruolo di “Personaggio dell’anno 2012”. In queste ore Maria Aliokhina ha ben altro a cui pensare. Le altre detenute l’hanno già  picchiata e minacciata. Sono tutte delinquenti comuni, qualcuna ha anche una inquietante complicità  con le guardie carcerarie. E tutte insieme hanno deciso di divertirsi a tormentare la ragazzina ribelle diventata famosa nel mondo solo per aver cantato una canzoncina contro Putin in cattedrale.
A quasi duemila chilometri di distanza nella sua dacia della Rubliovka, il quartiere dei miliardari di Mosca che si svuota ogni giorno di oligarchi prudentemente in fuga verso l’Occidente, Vladimir Putin valuta la possibilità  di un atto di clemenza. Non ha ancora deciso, ma i tanti autorevoli studiosi della sua personalità  giurano che l’ennesima “provocazione della propaganda americana” non favorisca affatto il destino delle ragazze. Del resto, al di là  di quello che si possa pensare in Europa o oltre oceano, la vicenda delle Pussy Riot non ha fatto male all’immagine interna del Presidente.
Implacabile con le «ragazzine blasfeme», più per accontentare il Patriarca ortodosso che per convinzione, Putin ha colto infatti l’occasione per mostrarsi severo e deciso contro i nemici veri della gente: i ladri, i corrotti, le facce più odiose dello strapotere economico. E da quando in maggio è tornato per la terza volta al Cremlino, si è messo a gestire una spettacolare crociata purificatrice che lo ha fatto crescere nuovamente in popolarità  e soprattutto di lasciare senza slogan e senza bersagli gli
oppositori delle grandi manifestazioni di piazza che tanto lo avevano spaventato nei mesi scorsi. Facile scendere in strada e gridare contro il «partito dei ladri e dei truffatori», sventolando dossier e prove scottanti. Ma adesso che lo Stato, Putin in testa, si mette a silurare, arrestare e mandare a giudizio, personaggi finora intoccabili, che cosa resta da dire? Poco, visto che lo stesso contestatore “numero 1”, il blogger anticorruzione Aleksej Navalnyj ha proposto di rinviare di almeno una settimana l’annunciata manifestazione del nove novembre proprio per cercare «nuovi spunti e iniziative di lotta». E per meditare su come queste ragazze siano riuscite a diventare il simbolo internazionale dell’opposizione a Putin scavalcando dissidenti dalla storia grigia e faticosa di inchieste minuziose e manganellate della polizia. «Sono i giornali occidentali che prediligono il colore alle notizie », dice Navalnyj. Ma più che critico sembra rassegnato: «Dobbiamo adeguarci. Dobbiamo cercare altre corde, puntare più ai sentimenti che agli aridi numeri». Più realistico lo scrittore Boris Akunin: «Il mito delle Pussy Riot, lo ha creato Putin con il suo atteggiamento. All’estero non è arrivato tanto il messaggio banale della canzoncina delle ragazze quanto quello di un potere esagerato, vendicativo, cinico. E, peggio ancora, troppo accondiscendente con la Chiesa».
Intanto, sullo slancio, il repulisti continua. Spietato e chirurgico. Riempie le pagine dei giornali, anima gli ingessati notiziari tv con notizie piene di particolari scandalosi che tutti conoscevano già  ma che è bello sentirsi recitare da uno speaker ufficiale dopo la premessa «Secondo fonti della Procura…». Così sono caduti decine di imprenditori; così è stato colpito e affondato il giovane ministro della Difesa che speculava in immobili di Stato e viveva da nababbo; così, probabilmente stamattina, entrerà  nel gorgo Lady Leasing, alias Elena Scrynnik, già  ministro dell’Agricoltura nota per le sue auto di lusso, per la sua villa con piscina in Francia, e per una firmatissima borsetta di coccodrillo da 640mila euro. Operazioni tardive, ma ineccepibili
dal punto di vista morale e giudiziario. Anche i rari giornali di opposizione, come la Novaja Gazeta che fu di Anna Politkovskaja, devono ammettere che «era ora». E volete che in questo furore di giustizia e di rivalsa sociale, in tanti si preoccupino delle Pussy Riot?
Nadia Tolokonnikova, la più giovane e la più autorevole del gruppo, lo ha capito bene. Nel suo campo di lavoro nelle paludi della Mordovia, sorride agli insulti delle detenute provocatrici. Non si lamenta di niente. Segue le lezioni di cucito e ha ringraziato con un inchino per la rapida promozione da semplice allieva a sarta specializzata in guanti per l’esercito. In premio ha ottenuto una visita del padre. Sperava di vedere sua figlia Ghera, quattro anni, che le manca da marzo, ma si è accontentata. Anche papà  è d’accordo con lei: «Niente colpi di testa, niente ribellioni. Bisogna subire con pazienza se si vuole che qualcosa cambi».
E Putin Terzo lo sa bene. Per anni ha vissuto sulla gratitudine dei russi per averli salvati dal caos degli anni di Eltsin, adesso punta tutto sull’anticorruzione. E ne approfitta per regolare vecchi conti in sospeso e anche per riequilibrare gruppi di potere andati fuori controllo. Esemplare la storia di Anatolij Serdjukov, il primo ministro della Difesa non militare della storia russa. Da tempo si sapeva delle operazioni immobiliari spregiudicate con i beni delle Forze Armate. E perfino del trasferimento in un suo garage privato delle auto storiche che furono di Krusciov e di Fidel Castro. Ma qual è stata la causa scatenante del suo declino? Aver tradito platealmente la moglie Yiulia, figlia di uno dei più potenti amici di Putin, Viktor Zubkhov, suo vice premier e suo consigliere personale in materia di gas e petrolio. La polizia ha lavato pubblicamente l’onta con una perquisizione a casa dell’amante dove il ministro è stato trovato in pigiama alle prime luci dell’alba. Choccato, Serdjukov si è dimesso ed è tornato in famiglia ottenendo un perdono di Stato con il conferimento di un altro ben remunerato incarico. La “rovina famiglie” Evgenja Vassilieva, invece, rischia diversi anni di carcere.
Anche i metodi della crociata, a ben guardare, non sono troppo ortodossi. Funziona più o meno così. Il personaggio prescelto per l’epurazione viene presentato all’opinione pubblica con la trasmissione in prima serata di un documentario sul primo canale tv. L’autore prediletto si chiama Arkadj Marmontov e molti oppositori lo chiamano malignamente “il killer delle tv”. Documentatissimo, tira fuori il peggio del personaggio, poco dopo scatta l’inchiesta. È capitato per il ministro Serdjukov; qualche anno fa per il sindaco di Mosca Luzhkov che si era messo in testa di correre per il Cremlino; ieri sera per l’ex ministra Scrynnik fuggita per tempo in Francia. Ed è successo, nel marzo scorso, anche per le Pussy Riot battezzate come pericolose sovversive dopo che la polizia le aveva invece bonariamente allontanate dalla cattedrale per il loro spettacolino di pochi minuti. Ma poi c’era stata l’indignazione pubblica del Patriarca, la sua richiesta di “una punizione esemplare” ed è scattata l’operazione documentario. In più è apparsa quella storiella di un loro forte sentimento antisemita che Putin ha riferito con l’aria compunta alla cancelliera tedesca Merkel che gli chiedeva clemenza. Storia falsa e senza alcun fondamento che però compare di tanto in tanto in qualche cronaca. Giusto per scoraggiare chiunque avesse ancora voglia di preoccuparsi di un paio di ragazze, famose nel mondo e dimenticate in Patria.

Post Views: 171

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/11/il-pugno-di-putin/