LA CONQUISTA DEGLI INDECISI

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Punto secondo: nei gruppi d’ascolto – sicuro il record di ascolti – serpeggia la sindrome della pistola alla tempia: esclusi i fan dell’uno e dell’altro, senz’altro molti e già  censiti, moltissimi sono anche gli orfani di identificazione e somiglianza, per l’appunto il bacino elettorale conteso. Quelli che hanno votato Vendola e Puppato, Tabacci o nessuno, quelli che potrebbero, forse, andare a votare domenica secondo le nuove duttili regole.
Moltissimi sono arrivati alla vigilia del confronto tv dicendo “io a votare al ballottaggio non ci vado”. Moltissimi dicendo bisogna scegliere il male minore, non favorire l’avversario: moltissimi altri no. Il male minore no, e se vince l’avversario pazienza. In tanti, fra gli elettori del centrosinistra, pensano di non tornare a votare. Ecco, il duello tv è andato in onda in questo clima. Da convincere non sono i propri eserciti, naturalmente, ma gli altri. A questo serve il faccia a faccia: a mobilitare gli indecisi.
In primo luogo, come si presentano. Un emiliano e un toscano, parlano il loro lessico, la loro lingua. Uno scontro al centro: il centro del paese, le lingue delle regioni rosse, Emilia contro Toscana. Gli abiti, che oggi fanno il monaco. Il “giovane” Renzi in maniche di camicia, senza giacca, cravatta scura. Il “vecchio” Bersani in giacca lucida blu-marron, cangiante, cravatta fucsia. Due mondi. Uno studio molto mal illuminato, Monica Maggioni, la conduttrice, sotto il profilo della comunicazione la migliore in campo. Peccato sia solo l’intervistatrice.
Manca una donna in questo duello.
Sui contenuti, il nodo. Partendo dalla fine. Il più giovane Renzi farebbe un governo di dieci ministri, Bersani di almeno venti. Le prime tre cose da fare. Bersani dice dare la cittadinanza ai figli degli immigrati, fare una legge anticorruzione, favorire la piccola impresa. Renzi dice lavoro, lavoro, lavoro. Certezza del diritto, semplificazione della burocrazia, agenda digitale.
Nell’appello finale, Bersani cita Lucrezia, quattro anni: per Natale voglio un lavoro per la mamma, che fa l’infermiera. Renzi dice siamo l’unico paese che non ha una legge sull’omofobia, sulla civil partnership, sul figli delle famiglie omogenitoriali.
Ma prima, per favore, parliamo di lavoro e di soldi. Di evasione, per cominciare. “Ce la prendiamo col piccolo e mai col grosso” dice Renzi. Applausi. Santa pazienza, risponde Bersani. Sei stato al governo 2547 giorni, dice Renzi. Hai una bella pazienza a contare, dice Bersani. Lo chiama “l’amico Matteo”, ma si vede che lo considera un furbacchione. Poi snocciola le sue consuete parabole contadine: “C’è tanta gente che preferisce un passerotto in mano che un tacchino sul tetto”, la migliore. Renzi cita Spinelli, Gobetti, De Gasperi sull’Europa. Sulla politica estera, Medio Oriente in specie, Renzi è più moderno e lungimirante. Parla di Iran: “Se noi non risolviamo lì non risolviamo nemmeno nell’area israelo-palestinese”. Sulla politica industriale, sull’Ilva per esempio. “Abbiamo qualcosa da farci perdonare”, dice Renzi. Bersani è disinvolto, ma sulla difensiva.
Va in confusione sul conflitto di interessi, dice che non ci si mettono le dita nel naso: intende che bisogna fare la legge, la rete impazzisce sul tema: dita nel naso.
Su scuola e ricerca convergono. Su legge elettorale entrambi divagano. A parte Emilo Fede e Santanché sono tutti delusi del governo Berlusconi, dice Renzi. Non c’è dubbio. Bersani cerca di rassicurare sui tagli ai costi della politica. Serve un altro confronto, presto, per entrare nel merito. Sulle dita nel naso siamo tutti d’accordo. Tre giorni di tempo per convincere sul resto, che è molto.


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