La mossa del ministro per riaprire il tavolo con Fiom
Un intervento arrivato dopo i molti inviti rivolti al governo, soprattutto da sinistra, ma che nasce prima di tutto dalla pervicace volontà di Fornero di perseguire il confronto in una vicenda che si sta avvitando «in una spirale nella quale tutti, dai singoli all’intero Paese, sono perdenti».
Una linea collaborativa che Fornero ha già dimostrato di voler seguire quando andò in fabbrica all’Alenia, proprio su invito della Fiom, per spiegare la riforma del lavoro, e poi, incontrando il leader del sindacato dei metalmeccanici Cgil, Maurizio Landini. E arrivando fino a ipotizzare la partecipazione a una manifestazione chiaramente antigovernativa, se solo la Cgil la avesse invitata.
Se il dialogo è sempre stato nelle intenzioni di Fornero, sia pure all’interno di un governo che ha cancellato esplicitamente la concertazione, la vicenda di Pomigliano e dei licenziamenti minacciati da Sergio Marchionne ha definitivamente convinto Fornero a intervenire per trovare una via d’uscita. Non sarà facile: Fiat e Fiom hanno smesso di parlarsi da tempo e si incrociano solo nelle aule dei tribunali.
È possibile che il ministro si sia sentito incoraggiato dal nuovo impegno del manager Fiat nei confronti dell’Italia e dalle parole spese a favore del premier, parole e impegni che ieri Monti avrebbe commentato «molto positivamente». Un atteggiamento di maggiore disponibilità della Fiat che però, almeno per ora, non sembra preludere a una stagione dialogante con la Fiom.
Intanto il governo incassa la permanenza della Fiat in Italia e l’incoraggiamento del manager, che continua a dire di non volere niente dal Paese ma che ha mandato già per quattro volte alcuni dirigenti di primissima linea, Paolo Rebaudengo e Diego Pistone, al tavolo aperto presso il ministero dello Sviluppo economico sull’export. «Vediamo» ha detto Marchionne a proposito dei possibili esiti. L’obiettivo dichiarato è quello togliere «i paletti in entrata e in uscita» che oggi rendono difficile esportare non solo le macchine ma tutte le merci. Si starebbe discutendo ad esempio di alcuni sgravi fiscali, in particolare dell’Irap e della sburocratizzazione di alcune procedure.
Ma forse più interessante per la Fiat è la partita che si sta giocando su un altro tavolo in cui non è rappresentata: quello della produttività dove siede, insieme ai sindacati e alle piccole imprese, quella Confindustria da cui Fiat è voluta uscire. Quella trattativa che è in corso però riguarda anche la Fiat perché gli sgravi sulla parte della retribuzione legata al risultato calzano a pennello con il modello contrattuale su base aziendale disegnato dall’amministratore delegato. Ecco perché alla prima riunione del tavolo export si è seduto anche il sottosegretario al Lavoro, Michel Martone. Ecco perché anche nelle successive riunioni il tavolo dello Sviluppo ha funzionato da raccordo con quell’altro, quello su cui il governo ha messo 1,6 miliardi di possibili sgravi.
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«Da mesi denunciamo che in questo Paese la Fiat viola le regole, crea leggi ad aziendam. Non dice qual’è il piano industriale e il futuro dei lavoratori. Ad un anno e mezzo dall’annuncio di Fabbrica Italia il bilancio sono tre stabilimenti chiusi», dice Susanna Camusso, segretario della Cgil da piazza del Popolo. «Fincantieri? Questa vertenza è un’altra che giace presso il ministero dello Sviluppo economico da tempo infinito. Non c’è un piano industriale. Non c’è una idea di come si contrasta la crisi e neanche di politica industriale. Il decreto sviluppo? Se le indiscrezioni sono quelle circolano, non c’è nulla a che fare con la crescita del paese». La manifestazione della Fiom da un corteo che doveva essere, si è limitata ad un sit-in dopo l’ordinanza del sindaco e il divieto della Questura relativamente agli incidenti di piazza del Popolo della scorsa settimana: «Abbiamo già detto e insistiamo che non si può rinunciare a esprimere opinioni, a manifestarle e a farlo qui. Questa è la Capitale, è il luogo deputato, pensiamo anche che la logica del divieto fomenti la violenza. Che si combatte garantendo che chi partecipa abbia come discriminante la non violenza. E noi ce l’abbiamo».
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