La Ue non si accorda nemmeno sul bilancio

by Sergio Segio | 24 Novembre 2012 8:03

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 «Ho sempre detto che non sarebbe drammatico se oggi avessimo solo la prima tappa», ha commentato Angela Merkel. Per la cancelliera tedesca «le posizioni sono ancora molto distanti, ci vorrà  tempo, c’è bisogno di un secondo round», che potrebbe essere un nuovo vertice straordinario dedicato al bilancio preventivo per il 2014-2020 all’inizio del 2013. «Bisogna dare tempo al tempo» ha detto il presidente francese.
Dopo i “confessionali” della vigilia, nella notte il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, ha ritoccato la sua proposta: resta fermo su un bilancio al ribasso, 983 miliardi per sette anni, cioè 80 miliardi di meno della proposta della Commissione (meno di un euro al giorno per cittadino), ma la ripartizione è diversa. 10,5 miliardi di tagli in meno per la coesione, 8 miliardi di riduzione in meno per la Pac (Politica agricola). Ma né il fronte degli “amici della coesione” (i paesi beneficiari degli aiuti regionali, Polonia in testa) né la Francia (grande beneficiaria della Pac) sono soddisfatti. Il fronte dei tirchi, cioè degli “amici che vogliono spendere meno”, non ha ceduto. Qui ci sono i contributori netti, Germania prima di tutto, Gran Bretagna, Olanda, Finlandia, Austria, Svezia, ma anche (in misura minore) Francia e Italia, chiedono tagli su tagli. Ma non sono d’accordo su quali operare: la Gran Bretagna vuole un bilancio ridotto a 880 miliardi, ma senza perdere un centesimo del famoso rebate ottenuto nell’84 dalla Thatcher, quando la Gran Bretagna era più povera di adesso. Altri, poi, hanno ottenuto lo chèque di compensazione (Germania, Austria, Olanda, Svezia, adesso lo vuole anche la Danimarca) e nessuno vuole rinunciare. Italia e Francia, che non lo prendono, vogliono rivedere questa politica. 
L’accordo è difficile, anche perché la distanza tra la proposta di Van Rompuy e quella del Parlamento europeo è enorme (993 miliardi contro 1090) e, grazie al trattato di Lisbona, Strasburgo ha ormai il potere di codecisione sul bilancio, che quindi potrebbe venire bocciato se troppo al ribasso, come ha ricordato ieri il gruppo S&D. Pr Martin Schultz, il prudente presidente dell’europarlamento (socialista), il compromesso di Van Rompuy è «il massimo possibile». 
Il 95% del magro bilancio della Ue – solo l’1% o poco più del pil Ue, contro il 20% del bilancio federale Usa, per esempio – torna agli stati. Ma la solidarietà , che è alla base della costruzione europea, rischia di diventare un ricordo del passato. Il costo della crisi greca ha bruciato le ali dello slancio solidale, nel momento in cui gli stati che hanno prestato ad Atene rischiano in prospettiva di dover accettare un severo hair cut dei loro crediti. I tagli colpiscono l’anima della Ue, cioè i progetti di sviluppo e di rilanci dell’occupazione. Ma ognuno pensa a sé. I paesi cicala sono apertamente sospettati di aver sciupato i soldi – c’è chi sostiene che, del resto, tutti questi aiuti sono serviti ben poco, visto che i principali beneficiari, vedi la Grecia, si trovano in uno stato deplorevole, malgrado la continua crescita dei finanziamenti alla coesione (era di 69 miliardi nel periodo ’88-’93 ed è stata di 347 tra il 2007 e il 2013). Una soluzione alternativa sarebbe aumentare le cosiddette “risorse proprie” della Ue: aumentare la parte di Iva che va direttamente nelle casse comunitarie e aggiungervi i proventi della futura tassa sulle transazioni finanziarie (ma la Germania rifiuta questo ultimo punto). 
Al vertice c’è stato un accordo, ma c’è poco da festeggiare. Malgrado le reticenze espresse dal parlamento europeo, è stata convalidata ieri la nomina del lussemburghese Yves Mersch nel direttorio della Bce. Adesso i sei membri che governano la banca centrale saranno tutti uomini (mentre c’era stata una donna tra il ’98 e il 2011), e si vanno ad aggiungere ai 17 maschi che governano le banche centrali nazionali. E la Bce, come ha ricordato ieri il suo presidente Mario Draghi, che ha «evitato il disastro» dell’Europa. Peccato che le società  si stiano allontanando sempre più dalla tecnocrazia europea e che i cittadini e le cittadine paghino il prezzo dell’ortodossia imposta a scapito di ogni buon senso

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