L’America al voto

by Sergio Segio | 2 Novembre 2012 8:20

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IL regista Errol Morris ha pubblicato l’altro giorno sul sito del New York Times un breve film intitolato “13 motivi per non votare” in cui intervista vari giovani americani sulle ragioni per cui non intendono partecipare alle elezioni presidenziali. Forse un commento in particolare sintetizza il sentimento comune: «Anche se mi trovassi davanti ad una scelta tra un candidato che mi fa schifo e l’altro che sembra un Dio, so che dopo le elezioni le cose andranno più o meno come sono sempre andate».

Il presidente Barack Obama ha vinto nel 2008, in parte, grazie alla forte partecipazione dei giovani. (Insieme a quella di altri gruppi che normalmente votano abbastanza poco: i neri e gli ispanici). Circa il 51% dei giovani ha votato nel 2008: sembra poco ma sono due milioni di voti giovanili in più rispetto al 2004. Nel 2010 – elezioni nazionali, per il Congresso, ma non presidenziali – il voto giovanile è crollato: ha votato meno del 21% degli elettori tra il 18 e il 29 anni. E secondo gli ultimi sondaggi Gallup il voto giovanile potrebbe subire una flessione di circa il 20% la settimana prossima rispetto al livello di partecipazione del 2008. In generale, l’orientamento del voto giovanile rimane sempre favorevole ad Obama anche se un po’ meno rispetto al 2008.
Per spiegare questo fenomeno ci sono vari motivi, tra cui la disaffezione con la politica espressa nel documentario di Morris. Ma conta anche il fatto che il sistema americano non facilita la registrazione al voto, anzi, spesso la ostacola. In America per votare è necessario registrarsi: ma molti Stati o località  non permettono agli studenti di registrarsi nel luogo dove studiano, anche se di solito ci vivono per almeno 4 anni. Una mia studentessa che ha studiato in Virginia ha dovuto viaggiare
centinaia di miglia per votare perché nella cittadina di Williamsburg non le hanno permesso di registrarsi. La stessa cosa è accaduta a Norfolk, dove c’è un college storicamente nero, mentre un college di giovani evangelici (in genere molto conservatori) ha fornito degli autobus per incoraggiare la partecipazione.
Molti Stati – in particolare alcuni swing States che potrebbero decidere questa elezione – hanno varato delle leggi per rendere obbligatorio il possesso di un documento di identità  quando ci si presenta alle urne. Negli Stati Uniti, a differenza dell’Italia, non esiste la carta d’identità  nazionale; generalmente un elettore deve depositare la sua firma quando si registra e la firma viene controllata alle urne per confermare l’identità  ed evitare brogli elettorali. Ma molti giovani (come molti neri e ispanici) non hanno la patente di guida e molti Stati hanno deciso di non accettare le tessere universitarie per registrarsi al voto. Che questo abbia lo scopo di ridurre il voto giovanile è abbastanza chiaro: in Tennessee permettono ai professori di usare la carta universitaria per votare ma non agli studenti.
Nello stesso spirito, molti Stati controllati dai repubblicani hanno reso più difficile votare in generale. In diversi Stati chiave –Pennsylvania, Florida e Ohio, per esempio – i repubblicani hanno introdotto norme per diminuire il numero di persone che andranno a votare. Hanno accorciato gli orari di apertura delle urne (soprattutto in contee democratiche), eliminato per quanto possibile il voto anticipato, un sistema usato da molti elettori neri nel 2008. Nel New Hampshire legislatori repubblicani hanno introdotto una legge per far sì che gli studenti che vengono da altri Stati (un fenomeno molto comune in America) non possano registrarsi a New Hampshire anche se ci vivono 9 mesi all’anno. Il leader degli legislatori conservatori, Bill O’Brien, ha detto (non sapendo di essere registrato) che bisognava impedire gli studenti di «fare quello che lui ha fatto da giovane: votare liberal ». La legge non è passata. Ma le molte difficoltà  nel votare – il numero di moduli da compilare – per dimostrare la residenza o per votare da lontano nello Sstato nativo tendono a scoraggiare i giovani, che fanno quasi tutto via Internet.
Nonostante l’atteggiamento di molti giovani che comunque «le cose andranno come sono sempre andate» potrebbe rivelarsi sbagliato. I programmi economici di Romney e Obama sono abbastanza diversi su alcuni temi che interessano i giovani. Per tagliare le tasse del 20%, come promette Romney, i repubblicani dovranno tagliare le spese governative “discrezionali” di circa il 40% se non vorranno aumentare il deficit. Questo significa tagli drastici per la ricerca scientifica e i dipartimenti di educazione e assistenza finanziaria per gli studenti, tutte cose che Obama vuole privilegiare. Romney vuole eliminare per primo il piano sanitario di Obama – che, tra l’altro – permette ai giovani – finiti gli studi – di beneficiare dell’assicurazione dei genitori. Le persone sotto i 35 anni sono quelle che spesso non hanno l’assicurazione.
I repubblicani sottolineano l’alto livello di disoccupazione tra i neo-laureati e sostengono che il piano di Obama peggiorerà  il deficit e che ricadrà  un giorno su quelli che sono ora giovani. Ma per adesso, nei sondaggi, le argomentazioni di Obama sembrano prevalere tra i giovani: il 52,1% dei giovani dice di preferire Obama rispetto al 35,1% per Romney, con un distacco del 17%.
Ma andranno davvero alle urne? Potrebbero pesare i social media come Twitter e Facebook, usati soprattutto dai giovani? Fino a questo momento non sembrano spostare molti voti. Nel 2008, c’è stata una rivoluzione tecnologica-politica: la rete ha permesso di Obama di raccogliere più soldi dal suo concorrente repubblicano. Ma il 2012 non sembra destinato ad essere la “primavera araba” del voto giovanile in America.
Secondo uno studio recente, se tutti quelli che hanno il diritto al voto votassero, Obama vincerebbe con quasi 58%. Ma siccome i poveri e i giovani, i neri e gli ispanici, votano molto di meno, i due candidati sono testa a testa. Molti non votano perché convinti che il loro voto non conti niente: sarebbe molto interessante sapere quanto sarebbe diversa la politica se votassero tutti. Oltre l’80% delle persone che appartengono ai ceti più benestanti vota, contro meno del 40% dei più poveri. Dobbiamo sorprenderci se i politici disegnano i loro programmi per quelli che votano di più e danno più soldi?

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