Lavoro e imprese, i tagli al cuneo fiscale diventano la priorità 

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ROMA — A questo punto sarebbe meglio chiamarla legge di Instabilità . Fin dall’inizio, infatti, la legge di Stabilità  (quella che una volta era la Finanziaria) ci ha riservato colpi di scena. Il 9 ottobre in Consiglio dei ministri era entrato un testo e ne era uscito un altro, con la sorpresa del taglio delle prime due aliquote dell’Irpef, bilanciato però dall’aumento dell’Iva (sia pure di un punto anziché i previsti due) e da una stretta su detrazioni e deduzioni che poi si era scoperto essere retroattiva. Adesso, dopo il vertice di ieri tra il ministro dell’Economia Vittorio Grilli e i due relatori di maggioranza, si ricambia tutto. Niente più sconti sull’Irpef, incremento dell’Iva limitato alla sola aliquota del 21% e sgravi concentrati sul cuneo fiscale sul lavoro. Solo pochi giorni fa lo stesso Grilli aveva sostenuto in Parlamento che la manovra avrebbe fatto pagare meno tasse al 99% dei contribuenti. Ora gli sconti saranno concentrati su lavoratori dipendenti e imprese. Non è la stessa cosa. Ma la situazione economica e politica è così tanto in movimento che regna l’incertezza e anche il governo ne è vittima.
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, aveva voluto lanciare un segnale di sostegno alla domanda dopo una serie di riforme pesanti per i cittadini e nel tentativo di uscire da una spirale deflattiva. Ma i vincoli europei che impongono il pareggio di bilancio nel 2013 avevano reso il gioco del dare e dell’avere quasi a somma zero per i contribuenti. Alla fine i guadagni sarebbero stati impercettibili: in media 13 euro al mese, secondo le stime dello stesso ministro dell’Economia.
Purché non si cambino i saldi, la manovra si può modificare, avevano subito detto Monti e Grilli davanti alle mille critiche. A Palazzo Chigi si erano presto resi conto che, al di là  delle buone intenzioni, il segnale sull’Irpef — il primo taglio delle tasse dopo tanti anni — rischiava di rivelarsi un boomerang perché nell’opinione pubblica prevaleva la sensazione di essere stati presi in giro, con l’aumento dell’Iva, che non era stato eliminato come promesso e soprattutto con la retroattività  dei limiti alle deduzioni e detrazioni.
L’idea di correre ai ripari si è così fatta strada. Poi è arrivata la conferenza stampa di Silvio Berlusconi, con la minaccia di far cadere il governo. Renato Brunetta, economista ascoltato dall’ex premier e relatore di maggioranza, ha cominciato a dire, senza tanti complimenti: «La legge di Stabilità  la smonteremo». Pier Paolo Baretta, relatore per il Pd, ex cislino, con un linguaggio più moderato, preannunciava anche lui «profondi cambiamenti». Risultato: ieri, quando è scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti in commissione Bilancio alla Camera, le proposte di modifica presentate erano ben 1.600, quasi la metà  dai gruppi della stessa maggioranza. Finiranno tutti nel cestino, annullati dagli emendamenti dei relatori, gli unici che passeranno, se necessario col voto di fiducia. Ma essi sono ancora da concordare. Ieri, dicono i protagonisti del vertice, si è solo raggiunta un’intesa di massima sulla direzione di marcia: si pone l’accento sul lavoro, sulla produzione. Ma mentre il Pd vuole concentrare gli sgravi sui lavoratori dipendenti il Pdl punta agli accordi di produttività  e a favorire anche autonomi e piccole imprese. «La stiamo riscrivendo», ha ripetuto a un certo punto del vertice un Brunetta raggiante. «Ognuno la spieghi come vuole, ma i principi della manovra sono salvi», ha replicato Grilli, cioè il pareggio di bilancio e un primo segnale di taglio delle tasse.


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