LE RAGIONI DELL’INCERTEZZA

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Oltre il confine dei sondaggi, che restano tutti ben all’interno dei margini di errore, dunque possono essere rovesciati dal voto, c’è una nazione che non si riconosce né in Romney né in Obama. C’è un elettorato che sceglierà  il repubblicano per puro odio del democratico, e un altro che appoggia svogliatamente il presidente pur di non cedere il timone. Oggi saranno costretti a scegliere senza vero trasporto qualcuno che non vorrebbero.
Le crepe dell’incertezza attraversano geografia e demografia, dividono Stati e città , Atlantico e Pacifico, maschi e femmine, giovani e anziani, ricchi e meno ricchi, bianchi e non bianchi e sembrano, anziché saldarsi, aprirsi.
Non c’è un “partito di Romney”, entusiastico e mobilitato come ci fu due volte per Reagan, negli anni ’80, e una volta per George W. Bush, nella sua seconda elezione. C’è soltanto il “non Obama”. Ma non c’è più neppure il partito di Obama, quell’onda formidabile di entusiasmo che portò alle urne, il 4 novembre del 2008, 130 milioni di cittadini, la cifra assoluta più alta nella storia della democrazia Usa, con un’affluenza di oltre il 61 per cento, seconda soltanto al 63% del duello fra Kennedy e Nixon, oltre mezzo secolo fa. Il movimento spontaneo di giovani elettori, di donne single, di ispanici, ovviamente di afroamericani, si è arenato nella palude di una presidenza che non ha scaldato i cuori. Dunque Obama deve promettere di “andare avanti” – “forward” come dice il suo slogan – lungo una strada che non ha sedotto e non affascina. Romney deve far brillare arcobaleni di prosperità  e di riduzioni fiscali, che non ha spiegato come potrebbero conciliarsi.
E sono, nelle ore del voto, più le domande che le risposte offerte dalle interviste. Il vantaggio del quale il primo capo dello stato nero nella storia Usa gode fra i suoi “fratelli e sorelle”, fra gli immigrati latinos, fra le giovani donne, fra i ventenni, sarà  superiore all’handicap che lui porta nel voto dei maschi bianchi adulti, delle madri di famiglia, dei pensionati “over 65” in Florida, soprattutto quel blocco di voto ebraico che ha ormai sostituito l’obsoleto “voto cubano”? Il Nord e il West, le fortezze indispensabili per Obama, produrranno un margine sufficiente per compensare l’implacabile ostilità  che tutto il Sud, l’antica Dixieland dei ribelli e della bandiera con la croce di Sant’Andrea, coltiva per lui?
Sulle proprie roccaforti, la campagna del presidente si è rinchiusa, in una Linea Maginot in Ohio, Michigan, Pennsylvania a rischio di cedimento del fronte interno.
Davanti alla Maginot obamaniana, gli strateghi di Romney hanno utilizzato una guerra di movimento, spostando su tutti i punti del fronte il proprio candidato elastico, informe e malleabile. Radicali di destra come di sinistra, dagli Occupy Wall Street al Tea Party ribelle contro l’establishment, convergono. Il loro punto d’incontro è nel disprezzo per Obama, il traditore.
Il diverso. Il troppo “di sinistra” o troppo poco.
Romney e Obama non sono riusciti mai a chiarire quali siano i propri progetti, ad articolare le proprie pur tanto diverse “idee d’America”, creando un’area grigia nella quale l’elettorato brancola ancora incerto, dunque esposto ai venti dell’ultima ora. Il vantaggio di Romney è di poter contare su un nucleo di irriducibili alle soglie della demenza, come quel Donald Trump disposto a offrire 5 milioni contro Obama, gente che vuole cacciare quella famiglia di “usurpatori” dalla Casa del padrone. Ma nell’insistenza torva si sono aperte crepe di incertezza e di ripensamento fra i repubblicani più moderati e razionali.
Le donne, sempre la maggioranza, vacillano divise fra le più giovani, sensibili alla libertà  di scelta, alla procreazione cosciente, e le meno giovani, più in ansia per il lavoro proprio, del coniuge, dei figli. I pensionati non sanno se credere alla terra promessa della privatizzazione indicata da Romney e dal suo vice Ryan, o restare aggrappati a quel poco di welfare che lo stato fornisce e ai vantaggi della riforma sanitaria. I neri si sentono amareggiati, dopo tanti sogni. I giovani sotto i 24 anni, già  mobilitati per Obama, faticano, per naturale impeto anagrafico, ad accontentarsi del poco, o non abbastanza, fatto.
L’incertezza produce l’effetto toss up, il lancio in aria della moneta senza sapere da quale parte cadrà . Testa o croce? Obama o Romney? Cinquanta probabilità  contro cinquanta, nella terra americana che brontola sotto i piedi della politica.


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