Le scorie impunite dell’ex Stalingrado

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CROTONE. E così abbiamo tutti scherzato. Hanno scherzato gli alunni delle scuole, i genitori, i periti, gli attivisti, i giornalisti, gli inquirenti. Hanno scherzato i membri della Commissione parlamentare d’inchiesta, scesi ben tre volte in riva allo Jonio. Crotone non è avvelenata. L’ambiente è salubre, le acque cristalline. «Questo giudice ritiene che, all’esito della perizia disposta… non è emersa l’attitudine del Cic (conglomerato idraulico catalizzato, ndr) a mettere in pericolo l’ambiente o la salute pubblica… ed è stato accertato che per le caratteristiche intrinseche del Cic, oltre che per l’ampio lasso di tempo decorso tra la posa in opera e l’accertamento di cui alla perizia e per la presenza di attività  industriali per oltre 50 anni sul territorio crotonese, non è possibile ricondurre univocamente al Cic e ai suoi componenti, anche all’esito di caratterizzazione della falda e del sottosuolo, la presenza di eventuali agenti fortemente inquinanti e pericolosi per la salute e l’ambiente». Lo scrive il gup Gloria Gori nelle motivazioni, depositate qualche giorno fa, del proscioglimento di 45 imputati di disastro ambientale, avvelenamento delle acque e smaltimento illecito di rifiuti, disposto nonostante il procuratore di Crotone, Raffaele Mazzotta, avesse chiesto una nuova perizia, stavolta collegiale, ritenendo che il consulente del gup non fosse stato in grado di dare risposte certe alla popolazione circa la nocività  del famigerato Cic, la scoria proveniente dal ciclo di lavorazione dell’ex Pertusola. Con cui a Crotone sono state costruite case, scuole e palazzi pubblici.
Una storia italiana
Qui nella ex Stalingrado del sud, roccaforte operaia in un trapassato remoto, era stata significativa per decenni la presenza di due enormi stabilimenti: quello della ex Pertusola che produceva zinco, realizzato da una società  francese nel 1920 per poi passare sotto il controllo del gruppo Enichem, e quello della ex Montedison, comprensivo delle due aree industriali, denominate “ex Fosfotec” ed “ex Agricoltura”, che dapprima faceva capo alla Montecatini e che dopo varie traversie era passato anch’esso sotto il controllo del gruppo Enichem, che produceva fertilizzanti, fosforo, fosforite e altri prodotti chimici. Ad oggi la proprietà  dei due stabilimenti è di Syndial SpA, società  del gruppo Enichem. I due stabilimenti, ubicati a poca distanza dal centro città  e attualmente in stato di totale abbandono, occupavano un’area di due chilometri, prospiciente il litorale jonico, erano confinanti tra di loro e ciascuno di essi aveva una propria “discarica a mare”, compresa tra l’area di rispettiva pertinenza e il litorale.
Le due grosse fabbriche negli anni Novanta hanno cessato di produrre. Ma la deindustrializzazione ha lasciato dietro di sé scorie ed inquinamento. Fino al 1999 montagne di granulare nero della scoria cosiddetta cubilot erano ammassate nel piazzale antistante lo stabilimento e facevano cattiva mostra per gli automobilisti che transitavano lungo l’adiacente statale Jonica. Insomma, un disastro ambientale, una storia italiana, un affresco del degrado in cui è stato abbandonato (dallo Stato e dai padroni) tanta parte del sud deindustrializzato.
Il 25 settembre di quattro anni fa, su ordine della procura, veniva eseguito il sequestro preventivo di vaste discariche non autorizzate di rifiuti pericolosi, il Cic ovvero il prodotto della miscelazione della scoria cubilot con la loppa d’alto forno proveniente dagli altiforni dell’Ilva di Taranto. Le scorie erano quantificate in ben 450 mila tonnellate tanto da far dire a Teresa Oranges, direttrice provinciale dell’Arpacal, durante l’audizione davanti alla Commissione d’inchiesta sull’ecomafia: «Tutta la costa crotonese è tappezzata di discariche, che cominciano dall’area della Pertusola e terminano alla foce dell’Esaro, dentro cui sono state abbancate le scorie, senza alcuna misura di salvaguardia e come sottofondo non è stato fatto nulla perché all’epoca non esisteva la normativa».
Un’economia malata
In questo ciclo diabolico dei rifiuti, buona parte delle scorie tossiche son state portate per anni fuori dall’area dello stabilimento industriale. Per esser utilizzate in diversi siti, «ubicati fin dentro la nostra città , nelle nostre scuole, nelle nostre case popolari, lungo le banchine del porto e nei simboli stessi delle istituzioni come il piazzale della questura» lamentano i genitori del Comitato “Istituto Alcmeone”. Anche da imprese appaltatrici di lavori pubblici che le avevano acquistate a costo zero. E per di più «con una piccola quota di contribuzione per la lavorazione e il trasporto offerta dalla stessa Pertusola» come ha riferito Mazzotta nella sua audizione in Commissione parlamentare. Il cubilot veniva utilizzato in luogo della sabbia o dei materiali da cava, con evidente profitto per le imprese appaltatrici. In violazione delle regole di mercato, dal momento che nelle gare d’appalto pubbliche le imprese che utilizzavano il cubilot come materiale di riempimento erano in grado di praticare prezzi più bassi di quelle che usavano materiali inerti. Per anni Crotone è stata così la cavia d’esperimento di un’economia malata dove per massimizzare i profitti privati si socializzavano i danni ambientali. Alla faccia della concorrenza e in spregio all’economia sana.
Le scuole al veleno
L’elenco dei manufatti costruiti con le scorie tossiche fa rabbrividire: la questura di Crotone, la scuola primaria Bernabò, l’istituto comprensivo statale Alcmeone-San Francesco, il liceo ginnasio Pitagora, l’istituto tecnico Lucifero, la banchina di riva del porto commerciale. Persino interi quartieri dell’Aterp, in località  Margherita, Trafinello e Lampanaro. In totale ventiquattro siti, di cui ventidue a Crotone, uno ad Isola Capo Rizzuto (la cabina Enel) e uno a Cutro (il piazzale della scuola, divenuta poi residenza per anziani, nel rione Pozzoseccagno), posti sotto sequestro tre anni orsono. Ma al danno ambientale vanno aggiunti anche le ricadute sanitarie. Le indagini medico diagnostiche condotte dal consulente tecnico Salvatore Andò, su un campione di 290 alunni di scuole primarie e secondarie del capoluogo jonico, hanno rilevato «un incremento significativo delle concentrazioni sieriche del nichel, dello zinco, del cadmio, dell’uranio e del piombo nei soggetti provenienti dall’area a rischio». Dalla concentrazione dei metalli valutata nelle diverse matrici biologiche è emerso che i siti investigati come aree a rischio sono stati realmente esposti alla contaminazioni di alcuni metalli pesanti. E che particelle di sostanze nocive sono state rintracciate nello stomaco e nei capelli degli studenti.
Il colpo di spugna 
Ma per il gup di Crotone non c’è stato né disastro ambientale, né avvelenamento delle acque, né smaltimento illecito dei rifiuti. Tutti prosciolti i 45 imputati (capitani d’industria, dirigenti ministeriali, politici) perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto o per intervenuta prescrizione del reato. Sconfessato l’intero impianto accusatorio, polverizzati anni di mobilitazioni ambientaliste. «È la cronaca di una morte annunciata» sostengono gli attivisti della Rete difesa del Territorio e il comitato dei genitori «perché nel corso di questi anni sia l’indagine che le varie fasi del procedimento dell’udienza preliminare sono andate a configurarsi per lo più come fatti per addetti ai lavori, interessanti solo per qualche gruppo di famiglie, o per parti di quartieri o anche per gli avvocati o i consulenti di parte. Probabilmente solo in una realtà  come la nostra è possibile utilizzare scarti industriali nella costruzione di una scuola elementare e materna e farla franca, magari invocando l’accanimento della magistratura». Crotone, appunto, «la città  del Tana libera per tutti» denunciano gli attivisti. Una città  che lentamente muore, una città  senza redenzione. Che questa volta non ha reagito come accadde per la chiusura delle fabbriche (nel settembre del 1993) e tre anni fa dopo il sequestro dei 24 siti. L’anno scorso, era il 12 novembre, tremila ambientalisti erano scesi in piazza invocando giustizia ambientale e bonifica territoriale. Oggi, invece, tutto tace. La città  è narcotizzata, rassegnata al cupio dissolvi. Persino la bandiera della bonifica non viene più agitata. Troppe le promesse disilluse. E così in questo impazzimento sociale può capitare che a raccogliere le firme per la bonifica siano i grillini del 5 stelle a caccia di proseliti anche a queste latitudini. Peccato che a guidarli sia Enzo Frustaci, un tempo tra i leader del Comitato pro Europaradiso, ecomostro mafioso con propaggini nella mala israeliana. Così in questo contesto schizofrenico, in cui si cambia casacca senza vergogna, Crotone soffre in silenzio. Persino la provincia gli è stata sottratta e i circa mille dipendenti saranno delocalizzati o messi in mobilità . Crotone è stata riannessa all’odiata Catanzaro. Chissà  che in nome del campanilismo di ritorno la città  si desti ed esca dal torpore


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