L’Onu accoglie la Palestina Anche l’Italia ha votato sì

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NEW YORK — Clima delle grandi occasioni — diplomatici e telecamere ovunque, tribune gremite — all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per la seduta nella quale, collezionando il sì di ben 138 Paesi (Italia compresa) su 193 membri dell’organizzazione, l’Autorità  nazionale palestinese (Anp) ha ottenuto il riconoscimento di Stato non membro dell’Onu. Una maggioranza più ampia di quella prevista di 132. Solo 9 i voti contrari. 41 Paesi si sono astenuti. Quella ottenuta dalla Palestina è una condizione di osservatore (come la Santa Sede), che dà  all’Autorità  legittimità  internazionale e, potenzialmente, la mette in condizione di adire a trattati e Corti internazionali. Ora Abu Mazen potrebbe, ad esempio, chiamare Israele a rispondere davanti alla Corte penale internazionale per quello che avviene a Gaza o nei territori della Cisgiordania occupata.
L’Onu ha vissuto una giornata di grandi emozioni, di sentimenti contrastanti, di molti dubbi sulle conseguenze politiche della risoluzione votata. È stata l’occasione di un’altra grave spaccatura dell’Europa con 15 Paesi, compresi tutti quelli mediterranei, dalla Francia alla Spagna, che hanno votato a favore della risoluzione, mentre la Germania e la Gran Bretagna si sono astenute, e gli Stati Uniti e un gruppo minoritario di altri Paesi hanno votato no. Gli Usa e Israele hanno cercato fino all’ultimo di dissuadere il capo dell’Anp, Abu Mazen, dal portare la risoluzione (definita da Hillary Clinton un «ostacolo alla pace») davanti all’assemblea avvertendo che in questo modo avrebbe provocato un ulteriore irrigidimento delle posizioni, rendendo ancor più difficile una soluzione della questione negoziata direttamente dalle due parti, come previsto dagli accordi di Oslo del 1993.
Ma il leader palestinese è andato per la sua strada, convinto che in questo modo non solo la Palestina fa un grande passo avanti verso il suo pieno riconoscimento internazionale e la formazione di uno Stato indipendente, mentre la sua organizzazione politica — i palestinesi moderati dell’Anp — viene rilegittimata come unica vera rappresentante di questo popolo, obbligando i movimenti estremisti come Hamas a riconoscere la sua leadership. È proprio la possibilità  di rafforzare con questo processo la componente moderata del mondo palestinese nel duro confronto con Israele che ha spinto la maggioranza dei Paesi europei a schierarsi a favore della risoluzione.
Ma secondo gli Stati Uniti e altri Paesi europei, questo è un modo miope di affrontare una crisi che dura praticamente senza interruzione dalla fondazione dello Stato di Israele, 65 anni fa. Il perché l’ha spiegato l’ambasciatore di Gerusalemme all’Onu, Ron Prossor, che ha parlato davanti all’assemblea generale subito dopo Abu Mazen e prima del voto: gli accordi formali fin qui raggiunti prevedono esplicitamente che il processo verso la costituzione di due Stati venga gestito direttamente dalle due parti in causa con realismo e spirito di collaborazione. Trasferire la crisi all’Onu, usare l’assemblea del Palazzo di vetro come cassa di risonanza, non solo, quindi, rischia di rendere insolubili problemi già  di per sé difficilissimi da risolvere, ma è anche illegale. Un punto di vista che, prima del voto, è stato ribadito anche dal rappresentante canadese — un Paese che è sulla stessa linea di Washington — mentre a sostegno della risoluzione ha parlato il rappresentante dell’Indonesia, il Paese musulmano più popoloso del pianeta. Da Gaza, un dirigente di Hamas, Ahmed Youssef, si è felicitato per la «vittoria della Palestina all’Onu».
Il momento cruciale, prima del voto, è stato, ovviamente, quello dell’intervento di Abu Mazen che ha letto con voce ferma ma senza enfasi un discorso abbastanza breve (23 minuti) attentamente calibrato nel quale alle accuse a Israele («a Gerusalemme Est l’occupazione ricorda il sistema dell’apartheid ed è in violazione della legge internazionale») sono state alternate parole di apertura: «Non siamo qui per delegittimare lo Stato di Israele ma per legittimare quello Palestinese», «vogliamo portare nuova vita nei colloqui con Israele». Ma una vera ovazione della maggioranza dell’assemblea l’ha ottenuta il ministro degli Esteri della Turchia, Paese che si pone sempre più come potenza emergente a cavallo tra Occidente e mondo islamico, che ha promesso di non dare tregua fino a quando la Palestina non sarà  uno Stato indipendente con capitale Gerusalemme.
Dopo il voto, accompagnato dall’apertura di una bandiera palestinese tra i banchi arabi, le prime docce fredde per Abu Mazen: il premier israeliano Netanyahu ha definito il suo discorso «ostile e velenoso, non le parole di un uomo che cerca la pace», mentre l’ambasciatrice Usa all’Onu, Susan Rice, ha chiesto il riavvio immediato di negoziati diretti tra le due parti, sostenendo che oggi, dopo le celebrazioni, i palestinesi si sveglieranno scoprendo che nulla, per loro, è cambiato.
Massimo Gaggi


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