Ma da Kissinger a Bush e Giuliani a destra Roma conserva gli amici

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Ma neppure l’antica e più affine madre albionica è in buona luce nella considerazione di Romney, che la scorsa estate ha trovato modo di offendere perfino l’Inghilterra, a suo dire mediocre organizzatrice di Olimpiadi.
Lasciamo però da parte il nostro complesso di Violetta, che ci vuole sempre col cruccio di non essere abbastanza amati e apprezzati. E consoliamoci col fatto che c’è una lunga tradizione di amici dell’Italia tra i repubblicani degli Stati Uniti. E non solo nella comunità  italo-americana.
Il posto d’onore per esempio spetta a Henry Kissinger, il più celebre diplomatico del Dopoguerra. Se a tutti è nota la sua grande amicizia con Gianni Agnelli, col quale condivideva anche la passione per il calcio, più discreta è stata la sua funzione informale di paladino e promotore degli interessi della Fiat negli Stati Uniti. Ancora oggi, l’ex segretario di Stato nell’amministrazione Nixon è un riferimento per il gruppo dirigente torinese e ha probabilmente svolto un ruolo nell’operazione che ha portato la casa torinese a Detroit.
Nella sua battaglia per la Casa Bianca, Mitt Romney dovrebbe poi rammentare che anche George W. Bush è stato amico dell’Italia. Era un rapporto molto personalizzato, via Silvio Berlusconi. Aveva sicuramente un interesse a coltivarlo, visto che il governo del Cavaliere appoggiò incondizionatamente la linea guerresca di Bush dopo l’11 settembre. Ma non c’è dubbio che George W. non si sarebbe neppure sognato di usare toni così sprezzanti.
Se poi arriviamo alla filiera italo-americana, dove l’amicizia per l’Italia ha qualcosa di più viscerale, that’s amorediremmo, allora possiamo notare che i repubblicani sono una vera folla.
C’è Rudy Giuliani, che prima di diventare il sindaco-eroe delle due torri era stato il procuratore che aveva messo in ginocchio le famiglie mafiose di New York.
Ci sono ben due giudici superconservatori della Corte Suprema. Uno è Antonin Scalia, bestia nera dei colleghi progressisti, così fiero della sua origine che quando giocava a carte con l’ambasciatore Salleo conversava con lui in siciliano. E poi Samuel Alito, altro giovane paladino della lettura «originalist» della Costituzione americana, cioè di un’interpretazione non evoluzionista che «rispetta il significato delle parole, così come le capivano i padri costituenti». Alito è presenza immancabile a tutti gli eventi dell’ambasciata italiana di Washington.
Più problematico, ma pur sempre legittimo, è mettere in questa schiera Rick Santorum, il candidato più conservatore delle primarie repubblicane, sconfitto da Romney. Certo anche lui ha più volte criticato il «sistema socialista europeo», ma ha sempre ricordato con orgoglio e fierezza le sue origini italiane, l’epopea del nonno Pietro (tacendone però la militanza comunista) che lasciò l’Italia fascista, per andare a fare il minatore in Pennsylvania.
Ma se possiamo permetterci di dare un consiglio al governatore Romney quanto all’Italia, è di chiedere la prossima volta lumi preventivi al co-presidente del comitato dei suoi finanziatori in Florida, Stato cruciale per la sua eventuale vittoria, che altri non è se non l’ex ambasciatore a Roma, Mel Sembler, da sempre ammiratore e ancora oggi buon amico del nostro Paese.
Paolo Valentino


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