by Sergio Segio | 12 Novembre 2012 7:18
Cioè con una balcanizzazione del Parlamento, che lascerebbe nel limbo ogni ansia di governabilità e speranza di cambiamento, tanto da imporre al Paese di tornare al voto molto in fretta, magari entro sei mesi (il che è un assurdo assoluto, perché significherebbe rivotare con un sistema ripudiato da tutti).
Giorgio Napolitano non arriva a giudizi così drastici. Sa che in politica sette giorni si dilatano a volte in un periodo lunghissimo, nel quale può succedere di tutto. Di negativo, certo, ma anche di positivo. È però scontato che le ultime tensioni e manovre sul negoziato in corso lo preoccupino. Se non altro perché dal varo o meno di questa «prima e ineludibile» riforma delle regole i cittadini verificheranno — come ha avvertito attraverso infiniti messaggi — «il grado di responsabilità » dei partiti e la loro stessa capacità di rilegittimarsi presso un’opinione pubblica sfiduciata e smarrita. Partiti che si sono impegnati a compiere con un passo concreto per sanare la «segnalazione di un’anomalia» del sistema elettorale formulata nel 2008 in una sentenza della Corte costituzionale e a cancellare il Porcellum escogitato dal ministro della Lega Calderoli nel 2005, unanimemente e ufficialmente disconosciuto ma in fondo ancora comodo per molti.
Chiaro che in questa fase critica e ormai «di merito», il presidente della Repubblica non può esprimersi. Può, secondo il precetto di Walter Bagehot, che nell’Ottocento esplorò meglio di chiunque altro il modello di Costituzione britannica, esercitare le sue prerogative di «stimolo, consiglio e ammonimento». In una parola, i poteri di moral suasion. Cosa che Napolitano ha fatto senza mollare la presa per quasi un anno e fino a pochi giorni fa, incontrando in separate udienze al Quirinale i leader dell’attuale maggioranza, già intenti a valutare i potenziali serbatoi dei propri voti e le eventuali aggregazioni: Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini. Da tutti e tre ha raccolto le preferenze per determinate soluzioni tecniche e le critiche verso gli orientamenti delle forze rivali. E a tutti e tre ha dichiarato e motivato il proprio «interesse e attenzione» per l’ipotesi risolutiva formulata dallo studioso di sistemi elettorali Roberto D’Alimonte «per evitare un salto nel buio». Quel lodo gli pare un punto di mediazione sensato. Infatti, risponde alle esigenze da lui sottolineate con forza, quando ha posto il problema delle nuove regole per il voto: 1) bisogna che superino appunto l’inevasa obiezione della Consulta; 2) bisogna che recuperino il rapporto tra elettori ed eletti; 3) bisogna che garantiscano una vera governabilità .
Per il capo dello Stato bisogna, in definitiva, che nessuno possa recriminare domani che la riforma sia stata congegnata per dare un indebito vantaggio a qualche famiglia politica, con pesante svantaggio di altre. Forzature del resto già viste, nella storia repubblicana, e delle quali Napolitano ha nitida memoria. Le si è viste, ad esempio, ai tempi della cosiddetta «legge truffa» voluta da Alcide De Gasperi e proposta da Mario Scelba (era il 1953), in cui si prevedeva di assegnare un premio di addirittura il 65 per cento dei seggi alla Camera alla lista o gruppo di liste collegate che avessero superato la soglia del 50 più uno dei voti (e, per inciso, a coniare allora quell’espressione furono l’azionista-socialista Piero Calamandrei e il liberale Epicarmo Corbino, che temevano colpi di mano sulla Costituzione, non i comunisti, che pure ne sarebbero usciti politicamente massacrati). Ecco la posizione del presidente, che i partiti chiamati a esprimersi domani in commissione conoscono bene. Tra mezzi diktat (di Bersani, l’altro ieri) e mezze aperture (di Casini, ieri), tra dispute su soglie e percentuali, tra «premioni» e «premietti» e altre incognite, la vigilia appare incertissima. Da quanto diversi emissari avrebbero riferito al Quirinale, tuttavia, un compromesso non apparterrebbe alla sfera dell’impossibile. Le distanze da colmare per raggiungere un accordo — che non sarà comunque un grande accordo per nessuno — sono relativamente piccole. A patto che qualcuno non voglia rimettere in discussione, in modo strumentale, alcuni aspetti dell’impianto stesso della riforma e relegarla così fra le tante incompiute.
Napolitano sorveglia il confronto a distanza perché, in questa fase «eminentemente politica», non ha più carte a disposizione e perché altri suoi interventi rischierebbero di trasformarsi in interferenza dei lavori parlamentari. Prenderà atto dei risultati, insomma. Consapevole che eventuali pasticci o accordi troppo al ribasso avranno un effetto boomerang sull’Italia. E, per quanto al Quirinale a nessuno piaccia ammetterlo, indirettamente anche su di lui, che per cambiare il Porcellum si è speso ed esposto tantissimo.
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