OPG, chiusura rimandata

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L’ennesima promessa del governo che viene disattesa con il ritornello “non ci sono più soldi”. E così l’Italia arretra sotto ogni punto di vista, a cominciare dall’incapacità  di ottemperare ad obblighi che, attraverso una norma che noi stessi ci siamo dati, prevede la chiusura di questi luoghi di deprivazione. L’Espresso in un’inchiesta scioccante rileva: “A otto mesi dalla legge, poco è stato fatto. Il numero degli internati rimane invariato e nelle strutture si continua a morire: l’ultimo caso lo scorso 2 ottobre a Reggio Emilia”. Seguono descrizioni di istituti di detenzione ormai fatiscenti, di commenti sconsolati degli operatori del settore.

Così la campagna per la chiusura degli OPG ha lanciato sei mesi di mobilitazione volta a sensibilizzare l’opinione pubblica con convegni e manifestazioni e ad indurre il governo a mantenere le promesse sancite da una legge votata in Parlamento. Scrive il sito della campagna stopOpg: “Continua la mobilitazione per chiudere definitivamente e senza trucchi gli OPG Ospedali Psichiatrici Giudiziari e per fermare gli attacchi contro la legge Basaglia. Tra crisi economica, ritardi e manchevolezze di Governo e Regioni, tagli della spending review che colpiscono Asl-Dsm e Comuni, il processo di superamento degli OPG resta incerto, e assai rischioso negli esiti che potrebbe avere. La mobilitazione di stopOPG continua per restituire cittadinanza e diritti alle 1.500 persone ancora rinchiuse negli OPG e alle cittadine e ai cittadini che, con l’attuale legislazione, possono continuare a subire una “misura di sicurezza” negli attuali OPG o nelle nuove strutture speciali (i mini OPG). Le tappe della mobilitazione a 6 mesi, a 3 mesi, e al termine ultimo per il superamento degli attuali OPG, che la legge 9/2012 fissa tra il 1 febbraio e il 31 marzo 2013”.

Un articolo de L’unità , ripreso da molti siti internet, getta luce su “un mondo ai più sconosciuto, ma drammatico. Quello dei cosiddetti «ergastoli bianchi scontati da persone con invalidità  o altri problemi che», usando le parole di Alessio Scandurra, dirigente dell’associazione “Antigone” e componente dell’Osservatorio nazionale, «sarebbero dovute stare altrove».

Quanto sia faticoso lavorare in questo settore lo sa bene don Giuseppe Inzana, sacerdote e presidente dell’associazione «Casa di solidarietà  e accoglienza» a Messina. Nella sua Comunità  ospita giovani che sono passati anche all’OPG. Ogni giorno fa la spola dalla Comunità  all’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto, dove da quasi trent’anni fa il cappellano. Don Inzana è uno di quelli che hanno aperto le porte ai pazienti degli OPG e spianato la strada per una vita alternativa alle mura di un ospedale psichiatrico giudiziario.

«Tempo fa abbiamo seguito il caso di un uomo della Lombardia racconta lo presero perché venne trovato senza carta di identità . È arrivato dentro l’ospedale giudiziario ed è rimasto per un po’ di tempo». Poi? «C’è stata un nostro interessamento con il dipartimento di salute mentale del suo distretto e alla fine siamo riusciti a inserirlo in un progetto individualizzato». C’è una cosa che non piace a don Inzana, che fa parte del comitato Stop OPG. «Contestiamo la legge che vuole fare le strutture nel bosco. Chiediamo che siano in centro, dove si vive. Pensate che quando accompagnavamo un ragazzo a lavorare alle 4 del mattino avevamo una vicina che ogni giorno si affacciava per salutarlo».

Non è ottimista Patrizio Gonnella, presidente di «Antigone». «Cosa succederà  al 31 marzo? Secondo me in questo momento non lo sa nessuno spiega -, tutto è proceduto con estrema lentezza. Quella era una legge che aveva una minima copertura finanziaria». E oggi? «Mancano decreti attuattivi. Ci potrebbero poi essere due possibilità : che a gennaio venga prorogato il termine di chiusura oppure, che venga utilizzato per gli OPG il sistema del project financing, per la realizzazione e funzionamento di strutture private».

Nel mese di gennaio anche Unimondo, come molte associazioni e organizzazioni, salutava come un segno di civiltà  l’approvazione della normativa che prometteva la chiusura degli OPG. Un provvedimento che finalmente ci metteva al passo con l’Europa.

Qualcuno metteva già  allora in guardia: “timori manifestati anche da chi si è sempre schierato per questa conquista di civiltà  riguardano il rischio che vengano semplicemente creati degli OPG più piccoli, all’interno dei quali verrebbero mantenute le stesse modalità  di non cura e, sovente, di maltrattamento la cui individuazione ha generato il percorso riformista che stiamo descrivendo.

Sono perplessità  legittime, peraltro giustificate dalle difficoltà  con cui un altro storico provvedimento, la chiusura delle case manicomiali, venne attuato sul territorio. La chiusura degli OPG, che riguarderà  circa 1400 pazienti, può avvalersi però di due fattori rilevanti: la definizione di una data precisa, l’1 marzo 2013, entro la quale le Regioni dovranno aver approntato e concretamente realizzato il progetto di riorganizzazione delle risorse sanitarie; il reperimento di fondi certi, già  illustrato in Senato, per dare attuazione al provvedimento sia sul piano delle strutture da creare sia per quanto riguarda il coinvolgimento delle necessarie figure professionali. Superare gli OPG è un passo dovuto se vogliamo accedere ad una forma di convivenza civile più evoluta; non è pensabile che in un Paese dove spesso per i «sani» garantismo significa impunità , dove i «sani» possono eludere una pena adducendo malesseri fisici non meglio identificati, esista una categoria, quella dei «folli» – come l’immaginario umano li ha storicamente definiti per difendersi dalle ombre che possono appartenere a tutti -, di fronte alla quale valgono solo le regole del cinismo, di uno Stato che non perdona e non recupera. Superare gli OPG significa credere nella democrazia più difficile e più scomoda, che riconosce dignità  umana anche a chi non ha il potere, la forza e il prestigio sociale necessari a far valere i propri bisogni”. [PGC]


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