Province, i tagli nella palude dei partiti

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ROMA — Persino Ciriaco De Mita si è dato una gran da fare. Non tanto per opporsi alla fusione tra Avellino e Benevento, ma perché nella nuova provincia i galloni di capoluogo toccherebbero proprio a Benevento, città  più popolosa della sua Avellino. Ai tempi del pentapartito si diceva che Napoli avesse cambiato nome in Avellino marittima. Una battuta per misurare il grande potere che aveva il segretario della Dc. E che forse ha ancora visto che il suo attivismo, una goccia nell’oceano, sta contribuendo ad affossare il taglio delle Province. Un progetto sul quale quasi tutti i partiti si erano detti d’accordo e che adesso quasi tutti i partiti (gli stessi) stanno provando a smontare.
Sono passati 20 giorni da quando il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge che cancella 35 province su 86. Da allora sono scattati i due mesi per la conversione in legge. Ma, considerando il lungo ponte di fine anno, l’operazione va chiusa prima di Natale. Altrimenti il decreto scadrà  e di Province non ne sarà  tagliata nemmeno una. Al momento, però, il decreto non è riuscito a fare nemmeno il primo passo. È fermo in commissione Affari costituzionali, al Senato. Ieri l’ennesimo rinvio. Una decisione presa dopo la guerra di trincea che si è consumata durante l’incontro tra il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, e i capigruppo dei partiti. La Lega non ha mai nascosto la sua contrarietà , specie sullo scioglimento anticipato delle giunte. Il Pd chiede qualche modifica anche se non sembra intenzionato a salire sulle barricate. Il vero scoglio sta dalle parti del Pdl che, con il vice capogruppo Oreste Tofani, ha presentato una pregiudiziale di costituzionalità . Cosa vuol dire? È un documento da mettere ai voti, sostiene che il decreto violi la Costituzione. Se venisse approvato dall’Aula, il decreto verrebbe affossato definitivamente.
Proprio per timore che questo accada la discussione è ancora ferma. È possibile che oggi si voti ma i tempi sono strettissimi visto che in un mese appena sarebbe necessario l’ok sia della Camera sia del Senato, sia in commissione che in Aula. Ci sono le resistenze locali, certo. Il sindaco di Crotone ha parlato di «straordinaria partecipazione di popolo» per un corteo di protesta di 3 mila persone, dal Molise chiedono di salvare Isernia che, tra capoluogo e hinterland, conta poco più degli spettatori che sabato scorso sono entrati all’Olimpico per Italia-Nuova Zelanda di rugby. E poi Monza che non vuole tornare sotto Milano dopo aver appena assaporato l’indipendenza. Ognuno ha la sua battaglia e la sua sponda a Roma. L’ex ministro Altero Matteoli, per dire, ha già  preparato un emendamento per lasciare Prato e Pistoia fuori dalla città  metropolitana di Firenze. E di emendamenti ne sono in arrivo altri, compresi quelli che chiedono di lasciare in carica le giunte fino alla scadenza naturale, per alcune prevista nel 2016, o che farebbero tornare il sistema elettorale diretto al posto di quello di secondo livello, con i consigli provinciali eletti dai consigli comunali della zona. Una febbrile attività  di smontaggio che, però, non ha a che fare solo con i campanili.
Il vento che tira in Parlamento è sempre più chiaro: una volta approvata la legge di Stabilità , per il governo sarà  difficile portare a casa qualche risultato. La melina sulle Province è una carta da giocare al tavolo della politica, dove si decidono legge elettorale, alleanze e data del voto. Con un problema però, che forse spiega perché questa melina venga fatta senza grandi annunci, quasi di nascosto. Nell’ultima campagna elettorale per le politiche, 2008, sia Veltroni che Berlusconi parlarono di un taglio alle Province. La loro abolizione, per dire, è scritta nel programma di Beppe Grillo. Affossare il decreto può essere una mossa tattica e accontentare qualche luogotenente locale. Quanto a portare voti, però, è tutta un’altra storia.


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Il Pd non può cambiare la Carta senza avere avuto la delega e con chi (Berlusconi) non rispetta lo stato di diritto La disciplina di gruppo e di partito è un valore cui sono sensibile. La politica è azione collettiva, la cui efficacia nei regimi democratici dipende anche dai numeri.

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