Quello che non Torna nei Progetti della Fiat

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Sergio Marchionne avvia le procedure di licenziamento per 19 dipendenti di Pomigliano in seguito alla sentenza che obbliga l’azienda ad assumere 19 dipendenti lasciati fuori dai cancelli perché aderenti alla Fiom. La decisione suscita la reazione dei ministri Passera e Fornero. Diego Della Valle invoca l’intervento del premier Monti e del presidente Napolitano contro la Fiat. In precedenza, aveva ripetutamente attaccato Marchionne e gli Agnelli con toni sopra le righe, ma l’altro ieri, rivolgendosi al Quirinale, l’industriale marchigiano ha alzato il tiro e si è accodato ad analoghe iniziative della Fiom-Cgil. Chiamare in causa Palazzo Chigi ha senso sul piano della politica industriale o anche delle relazioni sindacali, libero il premier di entrare in campo o meno. Diverso è il caso della presidenza della Repubblica, che tutela le istituzioni e la vita democratica. Attribuire a una vertenza sindacale, per quanto aspra, un valore istituzionale appare una forzatura politica, quando nessuno vuole seriamente applicare la Costituzione in materia di rappresentanze sindacali e di diritto di sciopero. La Fiom ci può pure provare, ma il signor Tod’s? Un industriale che vuol parlare al Paese (che vuol dunque fare politica) non può limitarsi a seguire la Fiom, ergendosi a rottamatore degli Agnelli. Dovrebbe dare un’idea costruttiva. 
La tragedia, infatti, non è tanto la democrazia violata o non violata quanto la ragione con cui la Fiat giustifica i licenziamenti: 19 occupati in più sono di troppo. Ma la Panda non doveva salvare Pomigliano? Quanti sono allora quelli che perderanno il lavoro, in Campania e altrove, quando finirà  la cassa integrazione?
Andrea Malan, sul Sole 24 Ore, documenta con precisione chirurgica come tra il 2004 e il 2012 la Fiat abbia cambiato 8 piani in 8 anni senza conseguire quasi mai gli obiettivi produttivi e commerciali dichiarati. Più in generale, Marchionne ha ripetuto per anni che una casa generalista come Fiat doveva fare almeno 6 milioni di auto per vincere la sfida globale. Una vecchia canzone, intonata 15 anni prima da Giovanni Agnelli e poi smentita dalla storia. Ma Marchionne è Marchionne. Dunque, in molti gli hanno creduto. Ora, a Marchionne vanno bene anche 4 milioni e mezzo di pezzi in un mondo nel quale la domanda di automobili continua a salire. Come la mettiamo? L’uomo del Lingotto cambia terreno di gioco e sfida i tedeschi sull’alto di gamma con Maserati e Alfa Romeo. Ma dove sono gli investimenti nei nuovi modelli premium? Siccome poco si è speso, poco è pronto. Se invece la Fiat parla del futuro remoto, dovrebbe dire di che numeri parla sul piano produttivo e quanti soldi ha da mettere sul piatto. Raffaella Polato lo ha chiesto nella sua intervista a Marchionne (Corriere della sera 1° novembre) senza ottenere risposta. Forse perché rispondere era difficile.
I primi nove mesi del 2012 fanno squillare un campanello d’allarme. Il gruppo dichiara un utile di un miliardo, un quarto di meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma il dato cruciale è la doppia schizofrenia dei risultati. Prima schizofrenia: secondo la nota di Torino, la Chrysler va bene e genera 1,8 miliardi di euro di utile, mentre la Fiat perde 800 milioni; secondo la nota di Detroit, invece, la Chrysler guadagna un miliardo di euro. La divergenza si spiega con il fatto che i principi contabili americani obbligano ad ammortizzare le attività  immateriali e i nostri no. Così la Fiat può rettificare al rialzo. Ma la sostanza resta. E veniamo alla seconda schizofrenia.
L’utile della Chrysler appartiene per il 42% al sindacato americano Uaw. Il bilancio di fine anno della Fiat-Chrysler ne dovrà  tener conto. Ma se, per nostro esercizio, proviamo già  oggi a detrarre gli interessi dei terzi, e cioè della Uaw, dal risultato dei primi nove mesi, avremo un utile netto consolidato del gruppo Fiat-Chrysler ridotto a 250 milioni contro uno di 1,3 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. Ma la presenza del sindacato americano non ha un valore solamente contabile.
Come abbiamo visto, la sola Fiat ha perso fin qui, nel 2012, 800 milioni. E senza l’apporto del Sud America, sarebbe andato sotto per oltre un miliardo. Un Sud America che alla Fiat sta rendendo meno e che dal 2013 in avanti dovrà  affrontare i nuovi, ingenti investimenti della Volkswagen. Al 30 settembre 2012, l’indebitamento finanziario netto della Fiat senza Chrysler era pari a 8,2 miliardi contro i 5,8 alla stessa data dello scorso anno. La Fiat, avverte il Credit Suisse, sta bruciando cassa, mentre la Chrysler la sta accumulando. E questa seconda schizofrenia è un problema ancora più serio. Da dove prenderà  i soldi Marchionne per rilanciare l’Alfa e la Maserati? Non da Detroit, perché la legge Usa, la Casa Bianca e la Uaw non consentono di spremere Chrysler a vantaggio degli italiani, almeno fino a quando la Fiat non ne abbia il 100% ovvero la incorpori attraverso una fusione che deve avere il placet a stelle e strisce. Placet che si preannuncia costoso se è vero che il sindacato ha portato la Fiat davanti a una corte del Delaware perché non è d’accordo sul prezzo offerto da Torino su un 3,3% di Chrysler su cui la Fiat avrebbe pure un’opzione. Di fronte a tali questioni, le querelle sindacali altro non sono che un diversivo.


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