Spari israeliani al confine A Gaza ucciso un ragazzo
Anwar Qdeih, 20 anni, ieri mattina s’è avvicinato al confine della Striscia, ha alzato due dita in segno di vittoria e invocato il nome di quel Jabari, il capo militare ucciso nel primo bombardamento che ha scatenato la guerra. Anwar non ha fatto caso, spiega un cugino, agli altolà dei soldati sulle torrette, né ai tre spari d’avvertimento in aria: in quella zona cuscinetto, è normale sentire raffiche. Il proiettile l’ha preso alla testa, altri colpi centravano alle gambe quindici palestinesi lì intorno. Anwar è morto subito: il primo morto della tregua. Tutti a smorzare, adesso. «Sottoporremo questa violazione del cessate il fuoco ai mediatori egiziani, per essere sicuri che non si ripeta», dice cauto Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas. «È stata una chiara violazione, ma che finisca qui», ripete cautissimo il ministro degli Esteri dell’Autorità palestinese, Riad Malki. Nessuno vuole amplificare l’incidente: «Se uno prova a sfondare il confine e a entrare in Israele — chiarisce Avital Leibovitch, portavoce da Gerusalemme —, già questo significa rompere la tregua». La tregua, già . Che continua a far gioire Hamas («ma di che si vantano? — ironizza Ehud Barak, ministro di Bibi Netanyahu — Gli abbiamo distrutto tutti i missili, bruciato il carburante, seppellito il capo militare e in cambio che cos’hanno ottenuto? Un foglietto…») e divide l’opinione pubblica israeliana: il 49%, dice un sondaggio, avrebbe voluto che Bibi continuasse la guerra (31% i contrari), anche se il 41% sarebbe contrario all’invasione di Gaza. «C’è la sensazione di un’opportunità mancata — dice l’analista Shalom Yerushalmi, del giornale Maariv —: tutti sanno che l’incubo dei razzi tornerà fra una settimana, un mese, un anno». Nell’accordo con l’Egitto in realtà , rivela il sito Debka vicino agli 007 israeliani, ci sarebbe anche l’impegno Usa di dislocare militari nel Sinai e a Suez per monitorare il contrabbando delle armi iraniane che, dal Sudan, arrivano ai tunnel di Gaza. Non è un segreto che l’operazione «Colonna di Fumo» sia cominciata non la settimana scorsa, con l’omicidio di Jabari, ma un mese prima: il 24 ottobre quando, nel silenzio della comunità internazionale, un raid israeliano distrusse una fabbrica sudanese di razzi, dove si lavorava con tecnologie iraniane. Il giorno dopo, Netanyahu incontrò a Gerusalemme il premier italiano, Mario Monti. E in conferenza stampa, a un giornalista israeliano che gli chiedeva conto di quel bombardamento misterioso, rispose con le parole che usa quasi sempre: «Non rispondo».
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