Un buco da 4 miliardi di euro così lo spread ad “alta quota” presenta il conto a famiglie e imprese

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Un “buco” dell’economia reale stimato attraverso un modello econometrico ad hoc che, partendo dal differenziale tra i titoli di Stato italiani e i bund tedeschi registrato dal secondo semestre 2011 in avanti, ne declina gli effetti nefasti in termini di mancati consumi delle famiglie e mancati investimenti fissi lordi delle aziende. Come dire due delle principali variabili della crisi economica.
IL MANTRA DI DRAGHI
Mario Draghi non perde occasione per ripeterlo. Ormai è il mantra che accompagna il presidente della Banca centrale europea nella guerra senza tregua agli spread: «I tassi di interesse non devono e non possono essere identici nell’eurozona, ma non sono accettabili divergenze tali da far precipitare alcuni Paesi in un circolo vizioso senza uscita. In un’economia dove circa tre quarti del finanziamento alle imprese proviene dal settore bancario, le ripercussioni sull’economia reale, sugli investimenti e sull’occupazione sono gravi». E’ l’interruzione della trasmissione della politica monetaria targata Bce, un black-out che ha consentito allo spread dei Btp di viaggiare nel corso degli ultimi diciotto mesi quasi sempre ad alta quota. Un volo salatissimo per le finanze pubbliche (in termini di maggior costo del debito), ma anche per i bilanci di famiglie e imprese vittime della stretta al credito e dell’aumento dei costi di finanziamento. Insomma, la miccia che ha fatto deflagrare la recessione globale.
Secondo un occasional paper pubblicato dalla Banca d’Italia e realizzato da quattro economisti del servizio studi (Ugo Albertazzi, Tiziano Ropele,
Gabriele Sene e Federico Signoretti), cento punti base di aumento dello spread si traducono nel giro di tre mesi in un rincaro di 50 punti base sui tassi d’interesse applicati alle imprese e 30 su quelli pagati dalle famiglie per i mutui casa. Ma fino ad ora nessuno aveva cercato di quantificare l’impatto dello spread sull’economia reale. Ci ha provato il Crif, dunque, attraverso un modello econometrico applicato su un campione rappresentativo di imprese e famiglie estratto in forma anonima dal Sistema di informazioni creditizie.
IL PESO DEL CREDIT CRUNCH
«L’Italia entra nella fase più tormentata della crisi a partire dal mese di luglio 2011 – spiega Silvia Ghielmetti, direttore di Crif – quando a fianco dell’emergenza debito pubblico, ormai pari al 120% del Pil, si prospetta anche una contrazione dell’economia reale. Così il consistente ampliamento dello spread si è inevitabilmente riflesso sul costo della provvista per gli intermediari bancari e finanziari e, a cascata, sui tassi di interesse applicati ai prestiti all’economia, che hanno subito rialzi sia per quanto riguarda le famiglie che le imprese». Durante il 2011 il costo del credito è aumentato di circa 80 punti basi per i prestiti a breve alle imprese e di 40 punti sui mutui casa. Ma non è solo una questione di tassi d’interesse, perché nello stesso periodo l’erogazione di nuovi finanziamenti ha subito una forte contrazione per il giro di vite deciso dalle banche nella valutazione della sostenibilità  degli oneri finanziari da parte dei propri clienti. Insomma, il mortifero credit crunch che sta soffocando imprenditori e lavoratori.
Secondo i calcoli di Crif, in valore assoluto le aziende italiane hanno dovuto sostenere complessivamente 15 miliardi di euro in più di oneri finanziari rispetto all’anno precedente come conseguenza del-l’effetto spread, visto che il peso di questi oneri sul Margine operativo lordo nel 2011 è salito al 28% rispetto al 22% dell’anno precedente: «L’evidenza di questo impatto – si legge nello studio – va visto come un’enorme zavorra per le imprese italiane che hanno dovuto bruciare ingenti risorse a
causa dei maggiori oneri finanziari e si sono trovate obbligate a contrarre gli investimenti, penalizzando soprattutto quelle realtà  meno in grado di sostenere la concorrenza internazionale».
Lato famiglie, invece, l’incidenza degli oneri finanziari misurata sui mutui residenziali è rimasta sostanzialmente costante nel periodo di impennata dello spread (sui nuovi mutui le rate salgono di circa il 4% sottolinea il Crif). Ma si tratta solo dell’effetto ottico determinato dalla forte contrazione dei volumi erogati (-25% contratti al mese), «a causa di un vero e proprio crollo della domanda da parte delle famiglie e per le politiche più prudenti adottate dalle banche ». Il tutto per un abbattimento delle compravendite immobiliari pari al 25,3%.
IL “BUCO” DELL’ECONOMIA REALE
Al termine del suo percorso, il modello econometrico del Crif certifica i 4 miliardi di “buco” dell’economia reale italiana: «Se il regime dei tassi di interesse si fosse mantenuto sui valori di inizio 2011 – sottolinea il paper – posta la stabilità  ceteris paribus di tutte le variabili in gioco, nel 2012 il sistema economico italiano avrebbe potuto beneficiare di risorse aggiuntive che invece sono state assorbite dall’aumento dei tassi visibile proprio a partire dalla seconda metà  del 2011: in particolare, nel 2012 i consumi da parte delle famiglie sarebbero potuti crescere complessivamente di circa 2,8 miliardi di euro, generando un aumento annuale dello 0,3%, mentre gli investimenti fissi lordi da parte delle imprese sarebbero potuti crescere di circa 1,2 miliardi di euro, per un incremento dello 0,5%. Nell’insieme, dunque, l’aumento dello spread ha assorbito circa 4 miliardi di euro all’economia nazionale, condizionando negativamente le possibilità  di investimento delle imprese e deprimendo i consumi delle famiglie»


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