Assedio al palazzo di Morsi “L’Egitto non è tuo, vattene”

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IL CAIRO — Per l’opposizione era il giorno della sfida, dopo che il Presidente Morsi nel suo «il discorso alla grande nazione egiziana », come l’avevano annunciato i suoi collaboratori, non aveva fatto nulla per venire incontro agli oppositori politici e riportare la calma nel paese. La sola offerta di colloquio («alle 12.30 di sabato» aveva precisato, ed era sembrata una presa in giro), senza la minima concessione nei fatti, era apparsa subito ai manifestanti che avevano ascoltato il discorso per strada dalle autoradio unicamente una manovra propagandistica. Così come aveva fatto pessimo effetto la sua abilità  a simulare, a rovesciare le carte in
tavola. Morsi nel discorso aveva addossato tutta la responsabilità  delle violenze dell’altra notte all’opposizione — anche se testimonianze e video raccontano il contrario. Il presidente aveva anche accusato gli oppositori di far parte di un complotto al soldo di misteriose ma potenti «forze straniere » e degli amici del vecchio regime.
«La faccia era quella di Morsi ma le parole erano identiche a quelle pronunciate da Mubarak», commenta Shahira Mehrez, una
storica dell’arte egiziana che fin dai primi giorni delle manifestazioni contro Mubarak era a piazza Tahrir e oggi è in prima fila davanti al palazzo presidenziale. I partiti dell’opposizione hanno respinto l’offerta di dialogo: «Morsi ha chiuso la porta», ha detto Mohammed el Baradei, il premio Nobel che è il coordinatore del Fronte di Salvezza Nazionale in cui si sono riuniti i fino a poco fa molto diversi partiti dell’opposizione. «Non ci sono le basi per un dialogo se manca qualsiasi disponibilità  al compromesso ».
Baradei aveva lanciato l’altro ieri sera agli egiziani l’appello a scendere di nuovo in piazza. E per tutto il pomeriggio, subito dopo la fine della preghiera delle una, migliaia di persone, soprattutto giovani sono sfilate da diversi quartieri verso il palazzo presidenziale a Heliopolis. «Vattene», «Il nostro paese non è di tua proprietà  », scandivano i manifestanti. Ormai gli slogan ritmati che animano le manifestazioni sono diretti personalmente contro Morsi più che contro il progetto di Costituzione (criticato anche dall’Organizzazione per i Diritti umani per la sua ambiguità ). Morsi lo vorrebbe far approvare a tambur battente con un referendum popolare il 15 dicembre, prima ancora che il 16 la Corte costituzionale si pronunci sulla legalità  dell’Assemblea costituente (dubbia, anche perché vi erano solo i partiti islamisti).
Il discorso del presidente ha invece infiammato i suoi seguaci (che ormai la gente ormai chiama “Fratelli” senza aggettivo, perché, sostiene, «musulmani siamo tutti e il loro è un trucco per far credere che musulmani sono solo loro). Morsi li aveva confermati nel ruolo di vittime di forze laiche che vorrebbero delegittimare il risultato elettorale di cinque mesi fa e trasformare l’Egitto in un paese senza religione. In migliaia sono andati ieri mattina alla moschea di al Aqsa ad assistere alla sepoltura di due vittime degli scontri. «L’Egitto sarà  islamico, né laico né liberale», gridavano.
Una folla immensa è rimasta per tutta la sera davanti al palazzo presidenziale, protetto dai carri armati dell’esercito e della Guardia Repubblicana e da blocchi di cemento e rotoli di filo spinato. I soldati schierati immobili dietro il filo spinato non hanno battuto ciglio nemmeno quando qualcuno cominciava prima a spingere le bandiere di là  dal filo spinato, e poi a srotolarlo per passare dall’altra parte, trattenuto però dalla gente che non voleva provocazioni. Dopo il calare della notte però molti manifestanti hanno deciso di scavalcare il filo spinato e si sono avvicinati al palazzo presidenziale. I soldati della Guardia Repubblica li hanno lasciati passare senza opporre resistenza. Dagli altoparlanti dei manifestanti intanto arrivava il messaggio del Fronte di Salvezza Nazionale che invitava la gente a non ritirarsi e organizzare un sit-in intorno al palazzo presidenziale fino alle dimissioni del presidente.
Alle nove di sera la prima vittoria. La commissione elettorale ha annunciato che per i cittadini che vivono all’estero il voto sul referendum costituzionale, che avrebbe dovuto iniziare domani, è stato posticipato a mercoledì 12 dicembre. Potrebbe essere il segno di una prima apertura. L’opposizione vede il referendum come il momento cruciale su come sarà  il futuro del paese. «Il presidente potrebbe considerare il rinvio del referendum — ha detto il vicepresidente Mahmud Mekki — se l’opposizione assicurerà  di non usare questo atto per annullare la consultazione». Alla tv Baradei ha rivolto un appello a Morsi: «Chiedo al presidente di cancellare questa sera il referendum in modo da avere una intesa nazionale e scrivere una nuova Costituzione».
Dimostranti e militari intorno al palazzo presidenziale fanno di tutto per mantenere la situazione calma. Ma in una moschea vicina dopo le voci di rinvio del referendum si sono riuniti gli islamisti. E i dimostranti si sono subito organizzati per proteggersi.


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