Autodeterminazione, c’è l’accordo Referendum nel 2014

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BARCELLONA. Per la prima volta in tre secoli – i catalani celebrano tutti gli anni il giorno in cui caddero sotto l’esercito borbonico l’11 settembre 1714 – la Catalogna accarezza una concreta possibilità  di costituire uno stato proprio.
Dopo i risultati delle elezioni del 25 novembre, che hanno ridimensionato le ambizioni del president Artur Mas e del suo partito, Convèrgencia i Unià³, di guidare in solitario un processo di transizione, e molto più prosaicamente, di conquistare la maggioranza assoluta del parlament catalano, una cosa risultava chiara. La maggioranza politica dei catalani puntava all’autodeterminazione. E dal punto di vista parlamentare, l’unica alleanza possibile era quella fra CiU, ridimensionata a 50 seggi (su 135 totali) e Esquerra republicana (Erc), il secondo partito per numero di seggi (21). Sulla carta, uniti dall’unico obiettivo di convocare un referendum di consultazione che il governo di Madrid vuole a tutti i costi vietare. Ma la politica è l’arte del possibile, e Mas con il leader di Erc, Oriol Junqueras, hanno dovuto fare di necessità  virtù. Con il Partido popular, partner nella legislatura precedente, che ha pregato in tutti i modi CiU di non chiudere l’accordo con l’odiata Esquerra che inevitabilmente porterà  allo scontro frontale con la Moncloa, sede del governo di Madrid, arrivando addirittura a proporre un appoggio all’investitura di Mas come presidente.
Niente da fare: CiU e Erc hanno superato le loro differenze e ieri all’ora di pranzo hanno firmato un «patto di legislatura». Paradossalmente, era la cattolica Unià³, socia di minoranza di CiU, la più recalcitrante. Ma persino la riconfermata presidenta del parlament, l’unionista Nàºria de Gispert, ha parlato nel discorso di investitura convintamente di autodeterminazione, un tabຠper Unià³, che politicamente ha sempre cercato di trattare con Madrid. Il punto chiave dell’accordo è che il referendum si farà  nel 2014, a tre secoli esatti dalla data così importante per l’immaginario catalano. Unià³ ha ottenuto che non si fissasse il giorno esatto e di aggiungere che se tutti i partner dell’accordo lo decidessero, il referendum potrebbe slittare. Se non verrà  autorizzato dal governo di Madrid, il referendum verrà  istituito grazie a una legge catalana di «consultazione», che consentirebbe di aggirare il divieto costituzionale in presenza di un veto governativo centrale.
L’elemento più importante dell’accordo è che, prima della celebrazione del referendum, il governo catalano cercherà  di mettere in piedi le cosiddette «strutture di stato»: una amministrazione tributaria per la riscossione delle imposte, una banca pubblica, un welfare che non permetta a Madrid di bloccare pensioni e prestazioni sociali catalane, e inoltre le competenze non ancora assunte su giustizia, trasporti e polizia. Senza trascurare il tentativo di cercare appoggi internazionali.
Ma non basta. L’accordo prevede una clamorosa marcia indietro su molte delle politiche economiche e sociali introdotte da CiU negli ultimi due anni. Si stabilisce per esempio la reintroduzione della tassa di successione, abolita da CiU appena arrivata alla Generalitat, una nuova tassa progressiva sui depositi bancari, un’imposta sulle grandi superfici commerciali, tasse verdi sulle emissioni di aerei e camion. Inoltre si studierà  la possibilità  di tassare le bevande con alto contenuto di zuccheri (adducendo ragioni di salute come per alcool e tabacco), e l’introduzione di una tassa (non ben concretata) sugli appartamenti vuoti. I repubblicani hanno strappato a CiU l’impegno a rivedere la tassa di un euro per ricetta medica e gli aumenti vertiginosi delle tasse universitarie, e la promessa di affrontare i problemi ormai endemici della povertà  e degli sfratti. L’insieme di queste imposte dovrebbe portare in cassa circa 1 miliardo di euro. Considerando che CiU calcolava che, per rispettare il deficit per il 2013 di 0,7% imposto da Rajoy, doveva tagliare per 4 miliardi, è il 25% di tagli in meno. Vedremo se basterà  un referendum a far ingoiare ai catalani un altro anno di lacrime e sangue.
Gli osservatori prevedono che la legislatura non durerà  più di due anni. Giovedì dibattito parlamentare e venerdì investitura del nuovo presidente nel parlamento più plurale della storia catalana (7 partiti).


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