Bondi alle prese con i nodi Cesa e Buttiglione

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ROMA — Era scontato che Enrico Bondi non avrebbe avuto vita facile nell’incarico di «selezionatore» dei candidati da imbarcare sulla zattera di Mario Monti. Meno scontato, mentre già  stando passando al setaccio i curriculum che si ammucchiano speditamente sul suo tavolo, che il primo siluro verso di lui partisse da Pier Luigi Bersani. Non fosse altro per una circostanza alquanto singolare: i paletti che l’ex commissario del governo tecnico per la spending review dovrà  utilizzare per ammettere gli aspiranti onorevoli alle liste apparentate con Monti sono pressoché gli stessi del Partito democratico. In qualche caso sono addirittura copiati. Parliamo, per esempio, di quella regola tanto discussa, che all’interno del Pd è stata motivata con le esigenze di rinnovamento. Ovvero, l’esclusione dalle liste elettorali per chi è già  stato alla Camera o al Senato quindici anni, corrispondenti a tre mandati completi. Una regola dolorosa per molti professionisti della politica, che sia nel caso del Pd come in quello delle liste montiane contempla però una scappatoia: quella delle deroghe per particolari personalità . Al rispetto del limite dei tre mandati completi, va da sé, si dovrà  aggiungere una fedina penale immacolata e l’assenza di scheletri nell’armadio e di conflitti d’interessi, come per esempio la titolarità  di concessioni pubbliche. E sarà  pure richiesto l’impegno alla assoluta pubblicità  patrimoniale, attualmente solo facoltativa: i parlamentari hanno oggi l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi ma non di renderla nota via internet.
Se però la stilettata del segretario democratico può essere senza dubbio rubricata sotto la voce «azioni di disturbo» che in una campagna elettorale strana come quella appena iniziata saranno di sicuro all’ordine del giorno, i problemi più grossi per Bondi si annunciano proprio all’interno della coalizione messa in campo per sostenere Monti.
Un segnale? Non può essere trascurato il messaggio che il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini gli ha recapitato ieri: «i nostri candidati li scelgo io». Affermazione perfino ovvia, se non facesse trasparire l’esistenza di un problema niente affatto trascurabile, che riguarda soprattutto partiti come il suo, il più vecchio e «radicato» delle formazioni che appoggiano il premier.
Posto che Casini non avrà  difficoltà  a far valere la deroga per se stesso, nonostante sia seduto in Parlamento ininterrottamente dal 1983 (quando la Roma di Paulo Roberto Falcao vinceva lo scudetto, l’esercito americano invadeva Grenada e il tennista Bjorn Borg annunciava il ritiro dalle competizioni), le spine nel suo partito sono ben più numerose. Riguardano, per esempio, le possibili candidature di alcuni consiglieri regionali targati Udc considerate nel giro montiano a dir poco inopportune. Ma c’è anche la questione che potrebbe investire lo stesso segretario del partito, Lorenzo Cesa, protagonista di una disavventura giudiziaria ai tempi di Tangentopoli, con condanna in primo grado poi annullata in appello, finita successivamente in prescrizione. Una condizione del tutto compatibile con le regole stabilite dal recentissimo decreto sulle incandidabilità  che vieta la partecipazione alle elezioni soltanto a chi ha ricevuto una condanna definitiva superiore a due anni per reati come corruzione e concussione: e non è il caso di Cesa. Ma che nello schieramento montiano ha comunque fatto storcere il naso a molti: pronti a farne un caso, al pari di quello di Rocco Buttiglione, parlamentare per quattro legislature. E che ci sarà  da discutere, Casini l’ha fatto capire chiaramente: «Cesa e Buttiglione sono segretario e presidente del mio partito, bisognerà  chiedere a loro se candidano me».
Secondo il copione già  sperimentato nel Partito democratico, pure qui le deroghe saranno dunque un bel problema. Idem le forzature che dovessero riguardare anche figure eccellenti. Perché se le candidature delle liste che alla Camera si presentano separate verranno scelte dai vertici dei rispettivi partiti o movimenti politici, come ha tenuto a sottolineare Casini, Bondi dovrà  comunque valutarle, e rappresenta comunque uno spauracchio ben difficilmente sormontabile. Ed è probabilmente questo il suo compito principale. Chi rischierà  di non poter mettere sul proprio simbolo il nome di Monti se l’ex rettore della Bocconi dovesse rifiutare la firma di apparentamento a causa di qualche candidatura indigeribile? Anche se in politica, com’è noto, ci sono digestivi che fanno miracoli.
Sergio Rizzo


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