Campagna anti governo per risalire

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ROMA — Attivissimo, entusiasta, carico come non lo era da mesi e mesi. Dopo una notte lunga passata a ricevere gli attoniti vertici del Pdl che avevano appreso da un flash di agenzia l’annuncio della sua ricandidatura e il siluramento del governo Monti, la mattina di Silvio Berlusconi è cominciata presto. Con una caterva di telefonate di auguri e la fila davanti al portone di Palazzo Grazioli per andarlo ad omaggiare, ringraziare, adulare, di truppe di big e peones del Pdl molti dei quali, fino ancora a pochi giorni fa, terrorizzati anche solo dall’ipotesi di schierarsi.
Ma ieri non era giornata per andarlo a rinfacciare, quel «tradimento» che aveva lamentato nel vertice di mercoledì quando in tanti tra i big di via dell’Umiltà , e Gianni Letta in modo più netto di tutti («Se ti candidi le cancellerie ti faranno a pezzi!») gli avevano consigliato di non scendere in campo direttamente, di affidare ad Alfano il compito. E forse, chi lo sa, ci sarebbero riusciti a dissuaderlo almeno per un po’ se la furia per aver letto su un’agenzia una sua presunta frase («Se non mi volete, non mi candido»), condita dall’ansia che gli avevano fatto montare gli allarmi di uomini vicini come Previti sul dl incandidabilità  che il governo stava per varare, non lo avessero fatto esplodere: «Non mi fanno fuori, non mi faccio fare fuori! Solo io posso guidare questo partito, e lo farò!».
Ma l’ira della notte, che gli stessi Letta e Verdini e Alfano e Ghedini avevano provveduto a far scemare a caldo, la mattina si è trasformata nella sicurezza magnanima di chi sa che, tornato al comando, può anche perdonare: «Voglio tenere assieme il partito. Rilanciarlo, cambiargli nome, ma tutti dovremo collaborare a tenerlo unito e a vincere assieme questa sfida». Certo, ha confidato a più d’uno «io so chi mi è stato vicino sempre e chi no, me lo ricordo…», ma sa anche il Cavaliere che per una campagna elettorale ventre a terra servirà  l’apporto di tutti.
Anche di quegli ex An di cui voleva disfarsi, di quei ciellini dei quali non si fidava troppo, delle vecchie facce che però potrebbero portare voti.
«Con me in campo e solo con me, e con una battaglia sulle cose che interessano davvero gli italiani — l’Imu, la disoccupazione, le tasse che ci stanno strangolando, le imprese che chiudono, la sottomissione alla Germania, un governo che le ha sbagliate tutte — possiamo risalire e giocarcela», ripeteva ieri. E così, in attesa dei sondaggi per valutare come sarà  presa la sua ridiscesa in campo, Berlusconi si tiene accanto tutti quelli che pure lo avevano sfidato. A partire da Alfano, mai in verità  rinnegato, che però ieri è stato mandato davanti alle telecamere per annunciare la sua ricandidatura. E a seguire con gli altri, convinti o non convinti che siano, perché per portare avanti la campagna contro «il governo del disastro» serviranno davvero tutti, anche i falchi come Brunetta e Santanchè sono già  in rampa di lancio con la sua benedizione.
Certo, Berlusconi sa che il clima anche nel suo partito non è facile. Ieri ha notato con malumore forte le prese di distanza di Frattini da una parte, degli alemanniani come Mantovano e Augello dall’altra, di Giorgia Meloni, del ciellino Mauro. E insomma, che non domini l’entusiasmo per l’avventura in una parte non indifferente del partito è un fatto. Anche se La Russa fa sapere che — se mai dovesse nascere un partito di destra — non sarebbe contro Berlusconi ma in chiave «tattica» per rilanciare il centrodestra con lui.
In ogni caso, non ci si può permettere di perdere tempo prezioso, né di passare per un doppio voto Regionali-Politiche che potrebbe sancire la sconfitta del Berlusconi appena tornato in campo. Per questo l’ipotesi emersa ieri di un voto per le tre regioni (Lazio, Lombardia e Molise) il 3 febbraio e uno per le Politiche a marzo ha fatto infuriare i big di via dell’Umiltà : «Se sarà  così — dicono dal partito —, Alfano a Napolitano andrà  a dire che per noi è inaccettabile, e a questo punto la sfiducia al governo la facciamo subito, perché questa è una sfida, un attacco contro di noi».


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