Da Epifani a Gotor, i 120 «blindati» che creano imbarazzi nel partito

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ROMA — Ha preferito non fare il convitato di pietra e come un «bravo boy scout» si è presentato in Direzione, anche se nessuno — o quasi — se lo aspettava. Ha abbracciato Nico Stumpo, sorridendogli: «Sei un delinquente». Ha soffiato il posto in ultima fila a Beppe Fioroni e quando il capo degli ex ppi lo ha chiesto indietro gli ha risposto sornione: «Non ti ho potuto rottamare, almeno fatti prendere la sedia». Poi, a riunione ancora in corso, prima che dentro e fuori la sala si parlasse dell’unico argomento che stava a cuore a tutti (la quota dei «garantiti»), se n’è andato e così ha saputo solo più tardi delle dieci deroghe votate in Direzione: «L’avevo detto io che ci voleva la rottamazione», ha ironizzato.
Ieri Renzi ha voluto marcare la sua presenza-assenza. Il sindaco ha lasciato intendere che, pur stando a Firenze, è in campo e che al Pd non conviene «restringere il recinto», non accogliendo tutte le «energie nuove che si erano raccolte attorno al partito durante le primarie». Parlare non ha parlato, ma il significato della sua presenza era inequivocabile. Anche se il sindaco ha intenzione di dedicarsi solo a Firenze, un occhio a Roma lo butterà  per forza. Non per trattare le candidature con Bersani (anzi Renzi tesse le lodi di Ichino che farà  le primarie perché non vuole stare nella quota dei garantiti) ma per non «disperdere» tutto quello che si è mosso nella società  attraverso i comitati a lui intitolati: «Non cedete al pessimismo: il futuro ci raggiungerà  presto». Del resto, circola un sondaggio riservato che rivela un fatto sorprendente: se nascessero delle «liste Renzi» in appoggio a Bersani e al Pd otterrebbero il 13 per cento.
È un dato da cui è difficile prescindere, anche se l’aria che si respirava ieri a Largo del Nazareno non aveva il sapore del nuovo che avanza. E non solo perché Rosy Bindi, al contrario dell’amica Livia Turco che si ritira con stile e senza profferire verbo, ha chiesto la deroga, passando sopra alle critiche e alle ironie e dando ragione alla profezia fatta qualche tempo fa da Veltroni: «Vedrete che un po’ di parlamentari di lungo corso sfrutteranno il passo indietro mio e di Massimo per poi fare capolino e sollecitare la ricandidatura». Non è solo per questo che l’atmosfera in Direzione è pesante e i mal di pancia e le tensioni si moltiplicano. È il listino il vero pomo della discordia. O meglio la quota dei garantiti che finiranno nelle teste di lista, assicurandosi un posto in Parlamento.
I «nominati», tra protetti del segretario, esponenti della società  civile e capilista, saranno centoventi circa. Un numero elevato se si pensa che Maurizio Migliavacca, all’inizio della riunione, ha spiegato: «In caso di vittoria avremo 400 parlamentari». Tra i fortunati ci saranno l’ex leader della Cgil Guglielmo Epifani, Miguel Gotor, il politologo Carlo Galli e tanti altri. C’è chi aspira, chi sgomita, e chi se ne va sbattendo la porta. Alcuni parlamentari di lungo corso verranno salvati e messi in quota, garantiti per le loro «competenze». Peccato che altri loro colleghi, con una sola legislatura alle spalle e molta più esperienza e preparazione saranno invece fatti fuori perché non hanno un padrino politico.
Un caso esemplare riguarda il senatore Roberto Della Seta. Il parlamentare ambientalista che ha condotto una dura battaglia contro l’Ilva, quello di cui Riva parla in una lettera del 2010 a Bersani chiedendogli di fermarlo. Due anni dopo Della Seta è stato fermato. Non sarà  nel listino. E con lui sono stati fatti fuori gli altri due parlamentari ambientalisti Realacci e Ferrante. Esponenti del Pd che non sono radicati sul territorio, visto che rappresentano interessi diffusi, e quindi non hanno possibilità  di passare alle primarie tramite i voti dell’apparato o dei signori delle tessere. Un caso analogo è quello di Stefano Ceccanti, costituzionalista, esperto di riforme elettorali. Fuori pure Roberto Giachetti, l’unico del gruppo del Pd di Montecitorio, che conosca i regolamenti della Camera e li sfrutti sempre a vantaggio del partito. Guarda caso si tratta di renziani.
Ma anche tra i bersaniani non ortodossi sono state fatte delle vittime: Bindi, contraria alle unioni civili di stile europeo, ha avuto la testa di Paola Concia, deputata gay, attivissima sul fronte dei diritti civili. Singolare per un partito il cui segretario ha annunciato che la proposta di legge sulla «partnership» sarà  tra i primi atti del suo governo.


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