Dalla lavanderia alle bollette Ecco «l’azienda maggiordomo»

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Immaginate di recarvi al mattino in fabbrica o in ufficio e di poter consegnare presso la reception del vostro posto di lavoro i vestiti da mandare in lavanderia, le bollette da pagare alle Poste e persino i farmaci da ritirare in farmacia. Lasciata la documentazione e i soldi (nel caso di bollette e medicinali) sarete sicuri che vi saranno consegnati quando uscite per fare ritorno a casa, per i vestiti ovviamente dovrete aspettare qualche giorno ma il meccanismo di consegna sarà  identico. Ve li porteranno all’uscita dal lavoro, avrete usufruito di un fornitore selezionato e soprattutto avrete risparmiato tempo che potrete dedicare alla vostra famiglia o ai vostri hobby. Tutti questi servizi li avrete prenotati con una piattaforma di e-commerce dedicata alla vostra azienda.
Fin qui abbiamo parlato per lo più di burocrazia, ma se avete bisogno di una serie piuttosto larga di servizi alla persona che vanno dal baby-sitteraggio alla badante per i vostri cari fino all’assistenza a familiari non autosufficienti, potrete usufruire della stessa piattaforma tecnologica e scegliere tra una lista di candidati il vostro fornitore, sicuri che tutti coloro che vi saranno stati indicati hanno ricevuto in precedenza una certificazione di qualità  standard.
Il progetto che abbiamo descritto fa parte di un’idea che sta a metà  tra il business e il welfare aziendale venuta in mente nel febbraio di quest’anno ai promotori di una piccola start up milanese, My Leaf, nata a sua volta da Axia, società  di consulenza in risorse umane. Leaf vuol dire foglia e tutta la narrazione è costruita attorno agli alberi come metafora dell’avvicendarsi delle generazioni. Dall’idea iniziale si è andati avanti a tappe forzate e nella periferia milanese in zona San Leonardo, a un passo dal vecchio borgo di Trenno in mezzo ai campi di calcio dei vivai di Milan e Inter, una squadra di professori della Cattolica di Milano e giovani studenti di sociologia (in tutto otto persone) sta lavorando alacremente. Se fossimo in California potremmo attingere alla retorica del garage creativo, a Milano partiamo più prosaicamente da un appartamento ubicato dentro il Monte Amiata, una creazione urbanistica avveniristica dell’architetto Aldo Rossi che sarebbe dovuta diventare un esperimento comunitario e che oggi è comunque un enorme condominio ben gestito. Oltre al Monte Amiata un altro luogo cult dei giovani di My Leaf è una vecchia trattoria di Trenno, la Cooperativa Concordia, una di quella che sarebbero piaciute a Giorgio Gaber. Si chiama «Il paradiso dello spritz», si paga pochissimo e i ragazzi mangiano tutti i santi giorni in compagnia di lavoratori edili e artigiani della zona.
Nell’appartamento dei creativi la figura chiave è Enrico Dalla Rosa, 53 anni, varesotto, laureatosi con Gianfranco Miglio e oggi docente a contratto della Cattolica, attorno a lui studenti ed ex allievi che hanno formato una vera unità  di business che nel giro di tre trimestri è stata capace di passare dall’illuminazione iniziale alla definizione di una vera e propria offerta da lanciare sul mercato. Grazie ai primi contatti commerciali My Leaf ha già  due clienti, la Contship che si occupa di movimentare i container portuali e che ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo del prodotto e la Omet, un’azienda gioiello di Lecco gestita dalla famiglia Bartesaghi. I «Dalla Rosa boys» propongono ai responsabili delle risorse umane delle aziende di stipulare un contratto che costa 6 mila euro di una tantum, 3 mila negli anni successivi e 50 euro a dipendente fino al quattrocentesimo. Gli altri sono gratis. In cambio ricevono l’accesso a una piattaforma di e-commerce che contiene tutti i servizi e che mutua da esperienze come e-Bay, Groupon e Amazon.
La piattaforma tecnologica ha un nome di donna, Abigail, «e rappresenta la nostra vera innovazione» dice Dalla Rosa. «Per metterla a punto ci siamo appoggiati a una software house milanese specializzata nel commercio elettronico che abbiamo via via coinvolto nel progetto My Leaf». Secondo il monitoraggio dei ragazzi di San Leonardo una tecnologia simile ce l’hanno solo due multinazionali, la Edenred e la Willis, la prima opera nel business della ristorazione e la seconda nelle assicurazioni. Se sono solo due le aziende che hanno dato retta a Dalla Rosa è perché l’iniziativa milanese è ancora in fase di lancio e ci sono comunque contatti in corso con almeno altre trenta. L’ipotesi è di andare oltre la Lombardia e la Liguria, coprendo almeno Emilia e Veneto.
Da un punto di vista concettuale l’esperimento di My Leaf è un’estensione del welfare aziendale: i datori di lavoro si fanno carico delle esigenze dei propri dipendenti in una logica comunitaria. L’esempio italiano più noto è quello della Luxottica, ma ormai il format si sta rapidamente allargando e oltre a moltissimi casi di medie aziende anche la Fiat di recente si è convertita, almeno nelle intenzioni, a questa cultura. I benefici finanziari si realizzano in virtù di una quota tutto sommato ridotta di defiscalizzazione ma i vantaggi «di clima» sono molto superiori. Se volessimo attingere al lessico anglosassone potremmo parlare per quest’estensione di assistenza di «work life balance», ma forse è più utile riferirsi all’elaborazione italiana sulla conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita. L’operaio e l’impiegato sentono che l’azienda è dalla loro parte, risolve per loro il problema dei centri estivi di vacanza per i figli, l’asilo, gli psicologi, la badante e persino i vestiti in lavanderia. Nella piccola e media dimensione, come alla Omet, tutto ciò calza alla perfezione con la cultura di un’azienda modello (fabbrica macchine per stampare etichette di plastica) a conduzione familiare in cui lavorano tanti dipendenti che portano lo stesso cognome e nella quale si sono conclusi almeno una ventina di matrimoni. Sarà  interessante vedere in aziende più grandi come servizi sanitari e di «maggiordomo aziendale» (così viene chiamato l’espletamento di pratiche come il pagamento delle bollette e delle multe, il rinnovo del passaporto, l’acquisto di farmaci, la riparazione dell’auto) potranno funzionare e che dinamiche relazionali metteranno in moto. La complessità  organizzativa è infatti rilevante e per far funzionare tutto alla perfezione ci vorrà  sicuramente del rodaggio. Dalla Rosa assicura che la piattaforma Abigail ce la farà  proprio perché è nata per gestire una grande massa di dati.
I servizi che verranno offerti dalla piattaforma sono 80, due terzi li potremmo definire di non profit sociale e un terzo tra burocrazia e manutenzioni. Se Dalla Rosa è il pivot della società , sono almeno altri tre i personaggi chiave. Un tecnico innamorato dei computer IBM dai tempi in cui occupavano un’intera stanza, Giancarlo Panceri, che ha guidato tutta la costruzione della piattaforma tecnologica. Accanto a lui Marco Beretta, che di anni ne ha solo 25 anni, un laureato in sociologia che trova il tempo di fare anche l’assessore comunale ai servizi sociali nel comune di Correzzana in Brianza. È stato lui a costruire il legame tra My Leaf e il variegato mondo del non profit e a interfacciare tecnologia e società  civile, fino a costruire la rete dei fornitori di servizi di welfare che insieme ad Abigail costituisce il vero vantaggio competitivo della società  milanese. Un altro giovane creativo è Alberto Neggia, 24 anni, di Erba. A lui si deve la certificazione dei fornitori e la creazione delle procedure per inserirli nella piattaforma software. Finita la fase creativa Dalla Rosa, Beretta, Neggia e compagni sono ora alla prova del business. Rispetto ai loro omologhi californiani parlano molto di valori e sembrano tutto sommato più attratti dall’atmosfera popolare del «Paradiso dello spritz» che dai dollari. Sono convintissimi però che la loro idea si farà  strada. «Non capisco come un’azienda moderna possa fare a meno dei servizi che abbiamo individuato — sintetizza Dalla Rosa —. I dipendenti sono persone e sono importanti e migliorare la loro qualità  della vita in azienda è il business del futuro».


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