Egitto, la doppia agenda degli islamici «Democrazia, ma a impronta coranica»

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IL CAIRO — «Siamo preoccupati per la tenuta del sistema. La democrazia è l’unica strada, ma abbiamo bisogno di istituzioni per sorreggerla. C’è una certa differenza tra una rivoluzione e uno Stato che funzioni. In questo momento in Egitto siamo ancora dei dilettanti. Ci sono soltanto tre organismi eletti, il presidente, la Camera alta, l’Assemblea costituzionale. Le strutture del vecchio regime sono ancora operanti e cercano di ostacolare la transizione. Abbiamo bisogno della Costituzione come dell’aria per respirare».
Gehad el-Haddad ha poco più trent’anni. Nell’ermetica struttura dei Fratelli musulmani, la sua posizione è quella di consigliere speciale. Certo è molto vicino al vertice: quando entro nella sede della Fratellanza a Nasser City, il quartiere per la classe media costruito negli anni Sessanta dal raìs, dalla sua stanza esce Khairat el-Shater, il potente uomo d’affari che viene subito dopo la suprema guida spirituale, Mohammed el-Badie, e che di fatto gestisce il movimento. Haddad non ha la barba. Veste con un certo gusto. Parla un ottimo inglese. I suoi pensieri li formula in frasi cartesiane. Non è per nulla arrogante, anche se mostra una certa aggressività  quando gli vengono formulate obiezioni o critiche.
Nell’Egitto dei paradossi, che nella notte ha vissuto nuove violenze con spari e feriti a piazza Tahrir, sono le regole democratiche a far da scudo a chi, nella sua visione del mondo, con la democrazia non ci va esattamente a nozze. E nello scontro che spacca e minaccia di far implodere il più grande Paese arabo, la difesa della legalità  e della norma scritta, pietra fondante di ogni convivenza civile, è diventata la divisa dei partiti religiosi. Mentre l’opposizione laica è costretta a rifiutare una Costituzione nella quale intravede ambiguità  ed eccezioni tali da temerla come un copione a soggetto, buono per ogni uso.
Il referendum costituzionale del 15 dicembre si farà . Mohammed Morsi, il presidente eletto dal popolo, non può rinunciarvi. Ha l’appoggio dei militari, ai quali ha affidato funzioni di polizia e il potere di effettuare arresti. E conta sulla mobilitazione dei Fratelli.
La rivolta degli oppositori, che hanno invitato la gente a boicottare la consultazione, secondo Haddad è strumentale. «Avevamo un accordo firmato da tutti. Abbiamo lavorato al testo per sei mesi. Abbiamo perfino accettato di ridurre al 51%, invece del 75% cui avevamo diritto, la nostra rappresentanza nell’Assemblea costituzionale. Poi l’opposizione si è chiamata fuori. Solo per questo siamo andati avanti, forti della legittimità  dataci dal popolo. Conosce altra regola possibile oltre quella democratica?».
Ma le frasi elusive, la questione dei diritti, la libertà  di espressione… «Guardi, la Costituzione non è il problema. Anche noi abbiamo delle riserve, per esempio sul ruolo dei militari, fuori da ogni controllo parlamentare. Ma l’Egitto è quello che è. Questo è il miglior documento possibile: non c’è alcuna imposizione del volere della maggioranza sulla minoranza, nulla che possa infrangere le libertà  personali di chicchessia. La verità  è una sola: l’opposizione non accetta un affiliato dei Fratelli musulmani come presidente in carica. Ma questo significa non accettare la democrazia».
Farah, la giornalista egiziana che mi accompagna, solleva il punto dei diritti di minoranze religiose, di omosessuali e lesbiche. Haddad si irrigidisce: «Nessun culto è proibito. Certo, in Egitto non sarà  permesso costruire templi che non siano islamici, cristiani o ebraici. Ma è normale, il popolo non li vorrebbe. E lo Stato egiziano non riconoscerà  mai l’omosessualità  come scelta di vita o le unioni gay. La Costituzione non dice nulla contro di loro. Sono cose che appartengono alla sfera personale, ma non possono e non devono essere proiettati sulla società ».
Quando poi andiamo a toccare la ferita delle violenze di piazza e dei morti della settimana scorsa, il nostro interlocutore reagisce d’istinto, invocando quella teoria del complotto che da sempre ossessiona la Fratellanza: «Ci siamo difesi. È stato un tentativo di golpe, provocato da pezzi del vecchio apparato statale di Mubarak, che lavorano contro Morsi. Ma anche il presidente porta la sua responsabilità : doveva rimuoverli prima».
Fino a un certo punto, l’analisi dei Fratelli musulmani è condivisa dai salafiti, loro compagni di strada attuali. «Ma noi non siamo alleati, ci separano differenze enormi», precisa Nader Bakkar, portavoce di al-Nur, la componente islamica più estrema. Lui, trentenne, la barba ce l’ha, corta e ben curata. Veste però all’occidentale, è affabile di modi e sempre sorridente. E anche lui rende omaggio alla democrazia e alla regola maggioritaria, «l’unica che conosciamo».
Ma Bakkar, sempre col sorriso, non fa mistero degli orizzonti del suo schieramento: «Un regime a guida islamica garantisce armonia e stabilità  nel tempo, quello che chiede il popolo. Lei mi domanda della sharia. La Costituzione non la impone. Affida solo ai sapienti di Al Azhar il ruolo di arbitro sulla coerenza delle leggi con i precetti islamici». Al Ahzar, gli faccio notare, è custode di un Islam moderato e tollerante. «Noi abbiamo fiducia in Al Azhar come istituzione. È ovvio però che per noi la sharia resti la strada maestra. Ma non possiamo imporla. Crediamo invece nella nostra forza di persuasione».
Perché quindi avete accettato questo compromesso? «Noi siamo un movimento, una corrente. Il compromesso non ci appartiene. Siamo flessibili, non siamo pragmatici. Non sacrificheremo mai nulla dei nostri principi. E mi creda, sul piano dell’umanità , nessuno è più vicino al popolo egiziano di noi salafiti».


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